Sermoni Domenicali

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE

1. In quel tempo: «Gesù, salito su una barca, passò all'altra riva e giunse nella sua città» (Mt 9,1).
    Nel primo libro dei Maccabei si racconta che il giovinetto Antioco «concesse a Gionata [Sommo Sacerdote] la facoltà di bere in vasi d'oro, di vestire la porpora e di portare la fibbia d'oro» (1Mac 11,58). Vediamo che cosa significhino Antioco, Gionata, l'oro, la porpora e la fibbia.
    Antioco s'interpreta «povero silenzioso», e in questo passo è figura di Gesù Cristo che fu povero e silenzioso. Fa' attenzione a queste due parole. Cristo fu povero perché non ebbe dove posare il capo (cf. Mt 8,20; Lc 9,58), se non sulla croce, dove «piegato il capo rese lo spirito» (Gv 19,30); fu silenzioso perché fu portato alla morte come un agnello e pur essendo maltrattato non aprì la sua bocca (cf. Is 53,7). Dice infatti Geremia: «Dalla bocca dell'Altissimo non usciranno né i beni né i mali» (Lam 3,38).
    Gionata s'interpreta «dono della colomba», ed è figura del predicatore che dalla colomba, ossia dallo Spirito Santo, ha ricevuto il dono di chiamare i peccatori a gemere nella penitenza come colombe. Infatti, nel primo libro dei Re, [un altro] Gionata, [il figlio di Saul], dice a Davide: «Se dirò al ragazzo: Ecco, le frecce sono più in qua di dove ti trovi, prendile!, allora vieni, perché sei al sicuro e non c'è per te alcun pericolo; viva il Signore! Ma se io dico al ragazzo: Ecco, le frecce sono più avanti di dove ti trovi; vattene in pace perché è il Signore che ti manda via» (1Re 20,22).
    Considera che le frecce sono tre, e cioè: il timore della separazione, per cui l'anima teme di venir separata da Dio; il dolore nella confessione; l'ardore dell'amore. Queste frecce, scoccate dall'arco della predicazione, feriscono l'anima per farla prorompere in gemiti e pianto. Ma se queste frecce sono al di là del ragazzo, cioè al di là della conoscenza infantile, per Davide non c'è più salvezza. Se invece sono al di qua del ragazzo, in modo ch'egli possa vederle, per Davide c'è salvezza e non c'è alcun pericolo: Viva il Signore! A questo Gionata dunque, cioè al predicatore, Cristo dà la facoltà di bere in vasi d'oro, di portare la porpora e di avere la fibbia d'oro. Nell'oro è simboleggiata la luce della sapienza, nella porpora il sangue della passione del Signore, e nella fibbia d'oro la repressione della propria volontà.
    Beato quel predicatore al quale è concessa la facoltà di bere in vasi d'oro. A molti è concessa oggi la facoltà di avere l'oro, ma non di bere nell'oro. Beve nell'oro colui che dalla luce della sapienza che ha ricevuto, beve prima lui e quindi offre da bere agli altri. Leggiamo nella Genesi che Rebecca disse al servo di Abramo: «Bevi, signore, e poi darò da bere anche ai tuoi cammelli» (Gn 24,14). La stessa cosa dice la sapienza al predicatore: «Bevi, signore!». Lo chiama «signore» perché la potestà che ha, gli è stata concessa da Cristo. Infatti dice la Genesi: «Sarai sotto la potestà dell'uomo, ed egli ti dominerà» (Gn 3,16). Fortunato colui che domina la sapienza che gli è stata data. Domina la sapienza colui che non l'attribuisce a se stesso, ma a Dio, e che vive in conformità a ciò che predica. «Bevi, dunque, Signore, e poi darò da bere anche ai tuoi cammelli», vale a dire ai tuoi uditori.
    La stessa cosa la dice anche il Signore: «Adesso attingete e quindi portate all'architriclino», cioè al direttore di mensa (Gv 2,8). Architriclino è un termine greco che deriva da archòs, capo, tria, tre e kline, letto; quindi architriclino, capo di tre letti. Infatti gli antichi mangiavano sdraiati su dei lettini, disposti a tre a tre.
    Anche nella chiesa ci sono tre letti, vale a dire tre «ordini», o tre categorie, nelle quali, come in un letto, riposa il Signore, e cioè i coniugati, gli astinenti che vivono in castità, e i vergini. Di tutti costoro il capo è il prelato, o anche il predicatore, il quale per primo deve bere e quindi offrire da bere ai commensali. «Antioco, dunque, concesse a Gionata la facoltà di bere in vasi d'oro».
    «E di portare la porpora». Porta la porpora quel predicatore che con Paolo, predicatore insigne, porta nel suo corpo le stimmate di Gesù Cristo (cf. Gal 6,17). Leggiamo nel Cantico dei Cantici: «La porpora del re unita ai canali» (Ct 7,5). Il canale è chiamato così perché è cavo, e sta ad indicare l'umiltà del cuore. Quindi: la porpora del re, cioè la passione di Gesù Cristo, è unita ai canali, cioè ai predicatori umili, attraverso i quali fluisce l'acqua della dottrina per irrigare le aiuole delle erbe aromatiche, cioè le anime dei fedeli. Nulla deve frapporsi tra la passione di Cristo e la vita del predicatore, perché questi possa dire con l'Apostolo: «Per me il mondo è stato crocifisso, come io lo sono per il mondo» (Gal 6,14).
    «E avere la fibbia d'oro». La fibbia, in lat. fibula, da fìgere, legare, è così chiamata appunto perché léga, e sta ad indicare la repressione della propria volontà: repressione che giustamente è detta «d'oro», perché da essa dipende la purezza dell'anima e del corpo. Il predicatore dev'essere legato con questa fibbia, per poter dire con l'Apostolo: «Io soffro per il vangelo fino a portare le catene: ma la parola di Dio non è incatenata» (2Tm 2,9). Quando la volontà del predicatore è legata, allora nella sua bocca la parola di Dio si scioglie, per giungere senza impedimenti al cuore degli ascoltatori.
    Quindi se il prelato della chiesa o il predicatore berrà all'oro della sapienza, se porterà la porpora della passione del Signore e se legherà la sua volontà con la fibbia d'oro, allora potrà veramente salire nella barca insieme con Gesù, passare all'altra sponda e arrivare alla sua città: come sta scritto nel vangelo di oggi: «Gesù salì su una barca», ecc.
2. Osserva che in questo vangelo sono posti in evidenza tre momenti. Primo, Gesù Cristo che sale sulla barca, quando dice: «Gesù, salito su una barca». Secondo, la presentazione del paralitico, quando aggiunge: «Gli presentarono un paralitico». Terzo, la guarigione del paralitico, quando conclude: «àlzati, prendi il tuo lettino».
    Nell'introito della messa di oggi si canta: «Tu sei giusto, Signore, in tutto ciò che hai fatto a noi» (Dn 3,27). Si legge quindi un brano della lettera del beato Paolo agli Efesini: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mente»; lo divideremo in tre parti, esaminandone la concordanza con le tre suddette parti del brano evangelico. Prima parte: «Rinnovatevi». La seconda: «Ripudiate la menzogna». La terza: «Chi è avvezzo a rubare». Fa' attenzione che la guarigione del paralitico, il rinnovamento della mente e il ripudio della menzogna praticamente significano la stessa cosa: è per questo che i due brani del vangelo e dell'epistola vengono letti insieme.
3. «Gesù, salito su di una barca, passò all'altra sponda e arrivò nella sua città».
    Senso allegorico. La barca raffigura la croce: su di essa sale Gesù. Infatti egli ha detto: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32), con l'uncino, per così dire, della croce. Leggiamo a questo proposito nel libro del profeta Amos: «Amos, che cosa vedi? Io risposi: Vedo un uncino per cogliere i frutti. E il Signore a me: È arrivata la fine per il mio popolo Israele; non lo lascerò più a lungo impunito» (Am 8,2).
    Considera che nei frutti ci sono tre qualità: il sapore, il colore e l'odore. I frutti sono figura dei giusti, nei quali c'è il sapore della contemplazione, il colore della santità e l'odore del buon nome, della stima di cui godono. Il Signore attira ogni giorno a sé questi frutti con l'uncino della sua croce; quando il Signore salì sulla croce arrivò per noi la fine, perché ebbe fine la nostra miseria; egli non ci oltrepassò, ma piuttosto ci fece passare con lui alla gloria. È ciò che dice il vangelo: «Passò all'altra sponda e giunse alla sua città». E anche Giovanni dice: «Gesù, sapeva ch'era giunta la sua ora, di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1). Ed è anche ciò che si legge nel salmo: «Lungo il cammino si disseta al torrente, e solleva alta la testa» (Sal 109,7); egli bevve dal torrente della sua passione, durante il cammino del suo pellegrinaggio terreno, e perciò levò alta la testa, che prima aveva reclinato sulla croce, quando aveva reso lo spirito.
4. Senso morale. Fa' attenzione. Adesso vediamo quale sia il significato delle parole: salì, barca, attraversò (il lago), e città.
    Chi vuole salire, è necessario che prima discenda. L'Apostolo infatti dice di Cristo: «Che cosa vuol dire con la parola ascese, se non che prima era disceso quaggiù nelle parti più basse della terra?» (Ef 4,9). E in che modo tu debba discendere, te lo indica Isaia dicendo: «Discendi, siedi nella polvere, o vergine, figlia di Babilonia» (Is 47,1).
    Fa' attenzione alle singole parole. O anima peccatrice, che vieni detta vergine a motivo della tua sterilità in fatto di opere buone, figlia per la tua effeminatezza, Babilonia per il disordine del peccato, discendi dalla superbia del tuo cuore, siedi per mezzo dell'umiltà, nella polvere in considerazione della bassezza in cui sei caduta. Queste sono le parti più basse della terra; se prima scenderai per considerarle e meditare, poi potrai risalire.
    Leggiamo nella Genesi che Abramo, dall'Egitto, salì con tutto ciò che possedeva, dirigendosi verso mezzogiorno (cf. Gn 13,1). Troviamo la stessa cosa un po' più avanti: «Giacobbe, radunata tutta la sua famiglia, disse: Alzatevi e saliamo fino a Betel» (Gn 35,2. 3). Abramo e Giacobbe raffigurano il penitente, il quale dall'Egitto, cioè dalle tenebre della sua miseria, sale con tutta la sua famiglia, cioè con i pensieri e gli affetti della mente, di cui nulla assolutamente deve restare in Egitto. Devi infatti salire totalmente verso il mezzogiorno, cioè verso la contrizione della mente, che è Betel, «la casa di Dio», la casa in cui Dio dimora. Anche Isaia infatti dice: «L'Eccelso e il Sublime dimora nell'eternità, ma è anche con il contrito e l'umile di spirito» (Is 57,15).
    E su questo argomento vedi anche il sermone della I domenica di Quaresima, sul vangelo «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto».
5. Su tutto questo abbiamo la concordanza nel primo libro dei Maccabei, dove Giuda Maccabeo dice: «Saliamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo. Così si radunò tutto l'esercito e salirono al monte di Sion. Trovarono il santuario abbandonato, l'altare profanato, le porte arse e cresciute le erbacce nei cortili come in un luogo selvatico e montuoso, e gli appartamenti sacri in rovina. Allora si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero la testa di cenere e si prostrarono con la faccia per terra» (1 Mac 4,36-40).
    Da questo passo si può ben comprendere in che modo l'anima venga distrutta e come si possa riedificarla. Giuda, cioè il penitente, radunato tutto l'esercito, cioè tutti i suoi pensieri e i suoi affetti, deve salire al monte di Sion, che s'interpreta vedetta, deve concentrarsi cioè nella sua mente, con la quale può meditare sull'oriente della sua nascita, sull'occidente della sua morte, sul settentrione delle avversità, e sul meridione della prosperità di questo mondo. Sul primo, per umiliarsi, sul secondo per piangere, sul terzo per mantenersi forte, sul quarto per non insuperbirsi.
    E poiché l'uomo si accorge dei beni che ha perduto, quando considera a fondo i mali che ha commesso, il passo continua dicendo: «E trovarono il santuario abbandonato», ecc. Il santuario è abbandonato e deserto quando l'anima, santificata dall'acqua del battesimo, cade nel peccato mortale e così diviene deserta e abbandonata, cioè priva della grazia dello Spirito Santo. L'altare viene profanato quando si distrugge la fede. Le porte vengono arse, quando i sensi del corpo vengono distrutti dal fuoco della concupiscenza. Nei cortili crescono le erbacce quando il cuore è invaso da una moltitudine di pensieri e di desideri vani. Gli appartamenti sacri, detti in greco pastoforia, erano quelli nei quali dormivano i leviti, ai quali era affidata la cura della casa del Signore; di essi fa memoria anche Ezechiele nell'ultima sua visione (cf. Ez 40,45-46). Questi appartamenti sacri vengono ridotti in rovina quando gli intimi recessi della mente vengono profanati da illecite brame.
    Ecco in che modo l'anima viene distrutta: ma vediamo anche in che modo possa venire riedificata.
    «Si stracciarono le vesti» ecc. Fa' attenzione a queste quattro azioni: stracciarono, piansero, si imposero, caddero. Nello stracciare delle vesti è indicata la contrizione del cuore; nel pianto la confessione bagnata dalle lacrime; nell'imposizione delle ceneri sul capo l'umile riparazione del male commesso; nella prostrazione con la faccia a terra il pensiero del finale dissolvimento del nostro essere. Infatti al primo uomo è stato detto: «Sei polvere e in polvere ritornerai» (Gn 3,19). Chi sale in questo modo al monte di Sion insieme con Giuda per purificare e riconsacrare il santuario, sale realmente sulla barca insieme con Gesù.
6. Considera inoltre che per governare una barca sono necessari almeno quattro strumenti: l'albero, la vela, i remi e l'ancora. Nell'albero è simboleggiata la contrizione del cuore, e nella vela la confessione della bocca: come la vela è unita all'albero, così la confessione dev'essere unita alla contrizione; nei remi sono simboleggiate le opere di riparazione e di penitenza, cioè il digiuno, la preghiere e l'elemosina; nell'ancora è simboleggiato il pensiero della morte. Come l'ancora trattiene la barca perché non affondi tra gli scogli, così il pensiero della morte trattiene la nostra vita perché non precipiti nei peccati. Dice infatti Salomone: «Medita sugli ultimi eventi della tua vita [i novissimi], e mai più cadrai nel peccato» (Eccli 7,40). Perciò chi desidera passare dalla riva di questa vita mortale alla riva dell'immortalità, cioè alla città della Gerusalemme celeste, salga sulla barca della penitenza.
    È qui che la prima parte del vangelo concorda con la prima parte dell'epistola: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4,23-24).
    Ecco che qui ti viene indicato in che modo si purifica e si consacra di nuovo il monte di Sion. «Salì Giuda a purificare e a riconsacrare il santuario». E l'Apostolo: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mente», nella contrizione del cuore, «e rivestitevi dell'uomo nuovo», nella confessione della bocca, «creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera», cioè nelle opere di riparazione: e così sarai in grado di salire sulla barca e giungere alla città della gloria celeste.
    Ad essa ci conduca colui che salì sulla barca della croce, e risuscitò come uomo nuovo nel terzo giorno: a lui sia onore e gloria nei secoli eterni. amen.
7. «Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su di un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2).
    Considera, avverte la Glossa, che alcune malattie vengono a causa dei peccati, e quindi devono essere prima rimessi i peccati perché possa avvenire la guarigione.
    In cinque modi, o per cinque motivi, vengono le malattie: o per aumentare i meriti dei giusti con la pazienza, come avvenne con Giobbe; o per custodire le virtù e non essere tentati dalla superbia, come con Paolo; o per espiare i peccati, come avvenne con Maria, sorella di Mosè, colpita dalla lebbra, e con il paralitico di cui stiamo parlando; o per manifestare la gloria di Dio, come avvenne con il cieco nato e con Lazzaro; oppure anche come inizio dell'eterno castigo, come avvenne con Erode, e così si veda già da quaggiù che cosa seguirà poi nell'inferno; infatti Geremia dice: «Con duplice flagello colpiscili, o Signore!» (Ger 17,18).
    Vediamo quale sia il significato morale del paralitico, del letto, e di coloro che portano il paralitico a Gesù.
    La paralisi deve il suo nome al fatto che immobilizza una metà del corpo; se tutto il corpo fosse immobilizzato, allora avremmo l'apoplessia. Più precisamente, la paralisi è dovuta al fatto che il corpo è colpito da un forte raffreddamento, nella sua totalità o solo in parte. La paralisi è una specie di disfacimento delle membra, e sta a significare il piacere della carne che è come un letto nel quale il paralitico, cioè l'anima giace disfatta. Dice Geremia: «Fino a quando ti distruggerai nei piaceri, o figlia vagabonda?» (Ger 31,22). Quando la carne viene distrutta dal piacere, l'anima, come il paralitico, giace disfatta nello sfinimento della carne.
8. Di questo letto, la prostituta dice: «Ho sospeso il mio letto con corde, e vi ho steso sopra coperte ricamate d'Egitto; ho profumato il mio giaciglio di mirra, aloe e cinnamomo. Vieni, inebriamoci alle mammelle, godiamoci i bramati amplessi fino allo spuntare del giorno» (Pro 7,16-18).
    Il letto, cioè il piacere carnale, è sorretto dalle funi dei peccati; vi sono stese coperte ricamate, cioè i vari piaceri, che vengono dall'Egitto, vale a dire dalle tenebre della coscienza. E poiché il riso si mescola al dolore, e il piacere all'amarezza, il testo aggiunge: «Ho profumato il mio giaciglio di mirra, aloe e cinnamomo». Nella mirra e nell'aloe, che sono spezie amare, è indicata l'amarezza del castigo; nel cinnamomo, che è profumato, è raffigurato il piacere della carne.
    Dice dunque la prostituta, cioè la carne, al giovane, cioè allo spirito: «Vieni!», con il consenso della mente, «inebriamoci alle mammelle», cioè ai piaceri della gola e della lussuria, passando alle azioni; «godiamoci i bramati amplessi», con i legami dell'abitudine, «fino allo spuntare del giorno». E questo è proprio vero, perché la carne non può ingannare nessuno se non nella notte dell'ignoranza; e quindi la carne nulla teme tanto, quanto il giorno, la luce dell'intelligenza. Ecco dunque in che modo il paralitico giace disfatto nel suo letto.
    Leggiamo nel libro di Giuditta che «Oloferne giaceva nel suo letto, sprofondato nel sonno, ubriaco fradicio» (Gdt 13,4). Oloferne s'interpreta «che svigorisce il vitello ingrassato», e raffigura lo spirito del peccatore che, con il consenso della mente, infiacchisce il vitello ingrassato, cioè la carne, ingrassata con l'abbondanza delle cose temporali, nel cui piacere giace come in un letto, sprofondato nel sonno, ubriaco fradicio.
    Leggiamo nei Proverbi: «Sarai come uno che dorme in mezzo al mare, come un timoniere immerso nel sonno, che ha abbandonato il timone, e dirai: Mi hanno bastonato ma non sento male, mi hanno trascinato, ma non me ne sono accorto» (Pro 23,34-35).
    Dorme in mezzo al mare colui che impigrisce nei flutti dei pensieri, nell'amarezza dei peccati, ed è come un timoniere immerso nel sonno che ha abbandonato il timone, cioè la guida della ragione, e porta la barca della sua vita verso il Cariddi della morte eterna. E così non sente dolore quando viene colpito dai demoni, e di nulla si accorge, quando essi lo trascinano ai vari vizi, «come un bue condotto al macello» (Pro 7,22).
    Ecco dunque che il paralitico giace sul suo letto, del quale così parla Salomone: «Il pigro dice: C'è un leone nella strada e una leonessa si aggira per i sentieri. Come una porta gira sui cardini, [così il pigro si gira nel suo letto]» (Pro 26,13-14). Il leone è il diavolo, la leonessa è la concupiscenza della carne.
    Pigro, in lat. piger, come dire pedibus æger, ammalato ai piedi, è figura del goloso e del lussurioso, i quali sono ammalati ai piedi, cioè mancano dei sentimenti della buona volontà, e quindi giacciono ammalati e paralizzati nel letto del miserabile piacere; non essendo in grado di resistere alle tentazioni del diavolo e di reprimere la concupiscenza della carne, non vogliono uscire a combattere, cioè a darsi alle opere di penitenza, e così si voltolano nei piaceri della carne, come un porta gira sui suoi cardini.
9. «Ecco dunque che portarono a Gesù un paralitico steso sul suo letto» (Mt 9,2). Marco scrive così: «Andarono da Gesù con un paralitico, portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo proprio dinanzi a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto sotto il quale Gesù si trovava e, fatta un'apertura, calarono il letto su cui giaceva il paralitico» (Mc 2,3-4).
    L'umiltà e la povertà, la pazienza e l'obbedienza sono raffigurate in quei quattro portatori; sono le quattro virtù che portano a Gesù l'anima che giace disfatta nei piaceri della carne. E poiché a motivo della turba, cioè del turbamento provocato dai desideri carnali, non sono in grado di portarla, scoperchiano e aprono il tetto e calano davanti a Gesù il letto con sopra il paralitico.
    Considera che c'è un quadruplice tetto: quello della superbia, quello dell'avarizia, quello dell'ostinazione e quello dell'ira. Questi, come è detto nei Proverbi, sono «i tetti gocciolanti» (Pro 19,13), che accecano cioè l'occhio della ragione. E Isaia: «Che hai anche tu che sei salito sui tetti?» (Is 22,1). E Davide: «Siano come l'erba dei tetti: prima che si strappata, dissecca» (Sal 128,6).
    Questo tetto, che copre ed oscura il volto dell'anima perché non veda la luce della giustizia, le quattro suddette virtù lo scoperchiano con la contrizione del cuore, lo aprono con la confessione della bocca, e così calano davanti a Gesù, fiduciose nella sua misericordia, l'anima e il corpo con le opere penitenziali di riparazione. Nessuno infatti può giungere a Gesù se non viene trasportato da queste quattro virtù.
    Dice la Glossa: Viene come portato da quattro persone, colui che da queste quattro virtù viene innalzato fino a Dio con la fiducia dello spirito. Di esse è detto nel libro della Sapienza: Essa insegna la temperanza e la saggezza, la giustizia e la fortezza (cf. Sap 8,7). Altri le chiamano: prudenza, fortezza, temperanza e giustizia.
10. Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: «Abbi fiducia, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». La Glossa commenta: Davanti a Dio ha molto valore la propria fede, e in quella circostanza anche la fede degli altri ebbe tanto valore da far sì che un uomo si rialzasse subitamente guarito nell'anima e nel corpo e che per merito degli altri gli fossero perdonati i suoi errori.
    Incredibile umiltà di Gesù che chiama figliolo quell'ammalato, trascurato dagli uomini e disfatto in tutte le membra! Certamente lo chiama così perché gli sono perdonati i peccati.
    Fa' attenzione a questi tre particolari: Veduta la loro fede, abbi fiducia, ti sono rimessi i peccati. La fede senza l'amore è inutile; invece la fede unita all'amore è propria del cristiano. Da notare quindi che «altro è credere a Dio, altro credere Dio, e altro credere in Dio». «Credere a Dio» significa credere vero ciò che egli dice, e questo lo fanno anche i cattivi; anche noi crediamo all'uomo, ma non crediamo nell'uomo. «Credere Dio» significa credere che Dio esiste, ciò che fanno anche i demoni. Infine, «credere in Dio» vuol dire credere ed amarlo, credere e andare a lui, credere e aderire a lui e venire così incorporati nelle sue membra. Questa è la fede che giustifica l'empio. Quindi dove c'è questa fede, c'è la fiducia nella misericordia di Dio, e c'è anche la remissione della colpa.
    «Allora alcuni scribi incominciarono a pensare: Costui bestemmia» (Mt 9,3). Poiché non credono che Gesù sia il vero Dio, pensano che Gesù bestemmi, quando dice di rimettere i peccati. «Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore?» (Mt 9,4).
    Il pensiero è detto in lat. cogitatio, perché cogit, costringe spesso la mente a ricordare. Gesù vede i pensieri. Infatti nella lettera agli Ebrei è detto: «Ai suoi occhi tutto è nudo e scoperto» (Eb 4,13). E l'Ecclesiastico: «Gli occhi del Signore sono infinitamente più luminosi del sole; essi vedono tutte le azioni degli uomini, vedono nelle profondità dell'abisso, penetrano nel cuore degli uomini e fino nei luoghi più segreti. Tutte le cose erano note al Signore Dio ancor prima di essere create, e allo stesso modo vede tutto anche dopo la creazione» (Eccli 23,28-29).
    «Perché dunque pensate cose malvagie nel vostro cuore?». Dice il profeta Michea: Guai a voi che pensate cose cattive nel vostro letto, e allo spuntare del sole le mettete in esecuzione (cf. Mic 2,1). Quando con la compiacenza e il consenso della mente meditiamo e tramiamo il male nel nostro letto, cioè nel nostro cuore, in quel momento quel male lo facciamo alla luce del giorno, cioè davanti agli occhi del Signore, anche se non lo mettiamo in esecuzione. Egli ha detto: «Chi guarda una donna per desiderarla», cioè la guarda proprio con lo scopo di desiderarla, «nel suo cuore ha già commesso adulterio con lei» (Mt 5,28). In questo quegli scribi potevano riconoscere che Gesù era Dio, perché vedeva i loro pensieri.
    «Che cosa è più facile dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati; oppure dire: Álzati e cammina?» (Mt 9,5). E la Glossa: Ma siccome non credete possibile questo prodigio spirituale, esso sarà comprovato da un miracolo visibile che certamente richiede una potenza non inferiore, affinché così possiate constatare che nel Figlio dell'uomo è nascosta la potenza della maestà, con la quale egli può perdonare i peccati, in quanto è Dio.
11. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell'epistola: «Ripudiate la menzogna; ciascuno dica la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. Arrabbiatevi ma non vogliate peccare: il sole non tramonti sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo» (Ef 4,25-27).
    Poco sopra abbiamo detto che quattro sono le virtù che portano l'anima paralitica a Gesù, e cioè l'umiltà e la povertà, la pazienza e l'obbedienza; ebbene, per mezzo di queste quattro virtù noi rigettiamo i quattro peccati di cui parla l'Apostolo. La menzogna della superbia o della vanagloria, che finge a se stessa di essere qualcosa mentre non è proprio niente, la rifiutiamo per mezzo dell'umiltà: infatti la menzogna è detta in lat. mendacium, in quanto inganna la mente di un altro. «Ciascuno dica la verità» per mezzo dell'amore alla povertà. Infatti, perché mai oggi avviene che quasi tutti dicono la menzogna al loro prossimo, se non a motivo dell'avarizia, la quale divide tra loro quelli che dovrebbero essere uniti come membra di Cristo? «Arrabbiatevi» contro voi stessi, il che vuol dire pentirsi e fare penitenza, «e non vogliate peccare». Chi infatti è preso dall'ira pensa male, e così permette che il diavolo entri in lui per fargli compiere il male. La pazienza è necessaria proprio per vincere l'ira. Altro senso: «Arrabbiatevi», cioè indignatevi contro voi stessi con tanta forza, da farvi desistere dal peccato. «Il sole», cioè Cristo, «non tramonti», cioè non abbandoni la mente; l'ira è come un monte che si frappone, e ci oscura questo sole. Ecco dunque che, con queste parole, l'Apostolo ci invita alla pazienza. Parimenti ci invita all'obbedienza quando dice: «Non date occasione al diavolo». Il primo uomo, quando peccò con la sua disobbedienza, diede appunto occasione al diavolo. Voi invece obbedite, perché l'obbedienza preclude al diavolo ogni occasione, ogni possibilità di introdursi in un'anima.
    Ti preghiamo, dunque, Signore Gesù Cristo, di abbattere con l'umiltà l'illusione e la falsità della nostra superbia, di distruggere la nostra avarizia per mezzo della povertà, di reprimere l'ira con la pazienza ed eliminare la disobbedienza imitando l'obbedienza della tua passione; e così meritiamo di essere presentati a te, di ricevere il perdono dei peccati e godere con te senza fine. Accordacelo tu, che sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
12. «Allora disse al paralitico: àlzati, prendi il tuo letto e va' a casa tua. Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, ecc. « (Mt 9,6-8). Fa' attenzione alle tre parole: àlzati, prendi, e va'.
    Il paralitico si alza, quando il peccatore si libera dai vizi ai quali si era abbandonato. E su questo abbiamo la concordanza nel primo libro dei Maccabei, dove si legge che «Mattatia si alzò e andò a stabilirsi sul monte Modin. Egli aveva cinque figli» (1Mac 2,1-2) che si chiamavano Giuda, Simone, Gionata, Giovanni e Eleazaro (cf. 1Mac 2,15).
    Mattatia s'interpreta «dono di Dio», ed è figura del penitente che, per dono di Dio, si rialza dal peccato e va a stabilirsi su monte Modin, che s'interpreta «giudizio». Dice Agostino: «Sali al tribunale della tua mente, la ragione sia il giudice, la coscienza sia l'accusatore, il timore sia il carnefice, il dolore sia il tormento, e le opere facciano da testimoni». Questo è il monte di Modin, e chi vi si stabilisce risorge veramente dai suoi peccati. Questo Mattatia, cioè il penitente, ha cinque figli, che sono: Giuda, cioè colui che si confessa; Simone, colui che obbedisce; Gionata, la colomba; Giovanni, la grazia ed Eleazaro l'aiuto di Dio. Questi sono i figli del penitente, cui viene elargito il dono di Dio, dal quale procedono le altre cinque grazie: Giuda purifica, Simone edifica, Gionata rinnova, Giovanni orna, Eleazaro protegge e conserva.
    Giuda purifica il tempio, in quanto la confessione purifica la coscienza dai vizi e dai peccati. Si legge nel libro dei Giudici che «i figli d'Israele consultarono il Signore, dicendo: Chi salirà davanti a noi contro il Cananeo, e chi sarà il condottiero di questa guerra? Rispose il Signore: Salirà Giuda: ecco, io ho messo questa terra nelle sue mani» (Gdc 1,1-2). Cananeo s'interpreta «geloso», ed è figura del diavolo che arde di focosa gelosia nei confronti dell'anima del peccatore e mette in azione ogni astuzia per impedirle di ritornare a Cristo. Contro di lui il penitente deve salire alla confessione, deve sradicarlo dalla terra della sua coscienza e purificare questa terra da ogni vizio.
    Simone edifica, perché a questo fine si affatica con l'obbedienza, per far crescere in altezza l'edificio delle opere buone. Dice di lui Mattatia: «Ecco Simone, vostro fratello: so che è un uomo saggio, ottimo consigliere; ascoltatelo sempre ed egli sarà per voi come un padre» (1Mac 2,65). L'obbedienza è la migliore consigliera, perché insegna a reprimere la propria volontà, che è la via che conduce all'inferno, e a compiere la volontà di colui che è la via al cielo. E di questo edificio dice Gregorio: L'obbedienza è l'unica virtù che unisce a sé le altre virtù e che le custodisce e le conserva.
    Gionata non cessa mai di rinnovare il santuario, perché la semplicità della colomba riedifica ciò che l'astuzia dell'antico serpente ogni giorno distrugge, e distrusse nel primo uomo. Leggiamo infatti nella Genesi che al tramonto la colomba ritornò da Noè nell'arca, portando nel suo becco un ramo di olivo con le foglie verdeggianti (cf. Gn 8,11).
    Vediamo quale sia il significato della colomba, del tramonto, di Noè, dell'arca, del ramo di olivo e delle foglie verdeggianti.
    Colomba, è come dire colens lumbos, che cura i lombi, e simboleggia la semplicità e la purezza, virtù che curano i lombi, perché combattono e reprimono la lussuria. Questa colomba va da Noè nell'arca, cioè dal penitente, ed entra nella sua mente: e questo al tramonto, vale a dire quando in lui si raffredda il sole della prosperità mondana e l'ardore della concupiscenza carnale. E allora porta il ramo di olivo con le foglie verdeggianti. Nel ramo è raffigurata la costanza della volontà; nell'olivo la serena tranquillità della coscienza; nelle foglie verdeggianti la parola della salvezza. La colomba porta tutto questo, quando nella mente del penitente entra la semplicità, e così Gionata è in grado di ricostruire ciò che era andato in rovina.
    Giovanni orna la facciata del Tempio con corone d'oro, perché la grazia dello Spirito Santo adorna le nostre opere con la purezza dell'intenzione. Dice Isaia: «Mi ha rivestito delle vesti della salvezza e mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo adorno della corona» (Is 61,10). Il Signore riveste il penitente con le vesti della salvezza per mezzo della contrizione, e lo avvolge con il manto della giustizia per mezzo della confessione e, come uno sposo insignito di corona, lo adorna con le opere di riparazione, che devono procedere dalla purezza della mente.
    Ma, poiché tutte queste cose non conseguono effetto alcuno se non interviene l'aiuto di Dio, ecco che c'è anche il quinto fratello, Eleazaro. Con l'aiuto di Dio infatti ciò che si è incominciato si accresce, e ciò che è cresciuto si conserva, ciò che si è conservato conserva a sua volta il penitente e lo incorona poi con il premio della vita eterna. Il Signore dunque dica al paralitico: «Àlzati!»
13. «Prendi il tuo letto». Dice la Glossa: Prendere il letto vuol dire distogliere la carne dai desideri terreni e innalzarla alle aspirazioni dello spirito, perché ciò che fu testimonianza di malattia, sia ora prova di guarigione. «Prendi dunque il tuo letto», allontana cioè la tua carne dai piaceri terreni per mezzo della continenza e con la speranza dei beni celesti.
    A questo proposito, troviamo un riferimento nel secondo libro dei Re, dove si racconta che «Davide sconfisse i Filistei e li assoggettò; tolse dalla mano dei Filistei il diritto del tributo. Sconfisse i Moabiti e, stesili a terra, li misurò con la corda: e misurò due corde, una per metterli a morte, e l'altra per lasciarli in vita. I Moabiti divennero sudditi di Davide e suoi tributari» (2Re 8,1-2).
    Questo è il senso letterale: «Davide sconfisse i Filistei e tolse loro di mano il diritto», cioè il potere, «del tributo», che avevano su Israele. «E sconfisse anche i Moabiti e li misurò con la corda», diede cioè l'eredità a chi volle, «e li fece stendere a terra», cioè li umiliò grandemente. «E misurò due corde», ecc. , decise cioè a suo arbitrio chi far mettere a morte e chi lasciare in vita.
    E questo è il senso morale: Filistei s'interpreta «che cadono ubriachi», e raffigurano i sensi del corpo, che ebbri per essersi dissetati alle vanità del mondo, cadono nella fossa del peccato. Sono detti anche «doppia rovina», perché portano alla rovina se stessi e la propria anima. Infatti di tale rovina il Signore dice: «Chi ascolta le mie parole e non le mette in pratica, è simile ad uno stolto, che costruisce la sua casa», cioè il suo modo di vivere e di comportarsi, «sulla sabbia», vale a dire sull'amore delle cose temporali. «Venne la pioggia» della suggestione diabolica, «strariparono i fiumi» della concupiscenza carnale, «soffiarono i venti» dell'avversità, o della prosperità del mondo, «e si abbatterono su quella casa, ed essa crollò», perché le sue fondamenta poggiavano sulla sabbia. Dire arena è come dire arida: infatti i beni temporali sono privi dell'umore della grazia. «E la rovina di quella casa fu grande» (Mt 7,26-27).
    Davide sconfigge e sottomette i Filistei, quando il giusto sconfigge i sensi del corpo per mezzo della mortificazione della carne e li umilia e li sottomette con la considerazione della sua bassezza. E allora toglie il vincolo del tributo, cioè la concupiscenza della gola e della lussuria, con la quale prima i sensi del corpo erano soliti tener legato lui, perché non potesse cibarsi del fieno dell'incarnazione del Signore, posto nella mangiatoia, ma solo dissetarsi all'acqua dei piaceri terreni. Il cavallo che ha il morso non può mangiare, ma solo bere. Di questo tributo si lamenta Geremia nelle Lamentazioni: «La Signora tra le province è sottoposta a tributo» (Lam 1,1). L'anima, che una volta era Signora di province, comandava cioè ai cinque sensi, è stata sottoposta al tributo della concupiscenza carnale; ma Davide toglie dalle loro mani, cioè dal loro potere, il vincolo del tributo, quando prende il suo letto, crocifigge cioè la sua carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze (cf. Gal 5,24).
    «E sconfisse i Moabiti». Moab s'interpreta «dal padre», e simboleggia gli stimoli carnali che abbiamo ereditato dai nostri genitori. Questo Moab, ogni volta che alza la testa, dobbiamo subito colpirlo, cioè reprimerlo, e con la corda, cioè con una severa penitenza, sempre però applicata con discrezione, dobbiamo farlo stendere a terra, cioè umiliarlo, in modo che il castigo sia proporzionato alla colpa commessa.
    Dobbiamo anche misurare due corde, cioè due specie di compunzione: una che riguarda i peccati, e questa per uccidere, vale a dire per distruggere gli stimoli della carne; l'altra che riguarda il desiderio della gloria futura, e questo per sostenere e vivificare il nostro spirito. Infatti il vangelo continua: «E va' a casa tua». Andare a casa significa ritornare nel paradiso, che fu la prima dimora dell'uomo, o anche riprendere la vigilanza interiore di sé, per non ricadere nel peccato. «E il paralitico si alzò e ritornò a casa sua». Dice la Glossa: Grande potenza che la guarigione segua immediatamente al comando di Gesù. E giustamente quelli che erano presenti, cessate le bestemmie, presi da meraviglia, prorompono nella lode di tanto potere. «A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini» (Mt 9,8).
    Fa' attenzione alle due parole: «presa da timore» e «rese gloria a Dio». Infatti nell'introito della messa di oggi si canta: Tutto quello che ci hai fatto, Signore, l'hai fatto con retto giudizio, perché abbiamo peccato contro di te, e non abbiamo obbedito ai tuoi comandi (cf. Dn 3,28-31). E questo ti dice chiaramente che il paralitico era stato colpito da quella malattia a causa dei suoi peccati, e da essa non poteva guarire se prima non gli venivano perdonati. Quindi dobbiamo sempre credere che tutto ciò che il Signore fa, lo fa con retto giudizio, e dobbiamo imputare il castigo ai nostri peccati, e anche glorificarlo insieme con la folla e dire: Da' gloria al tuo Nome e agisci con noi secondo la tua clemenza (cf. Dn 3,42-43).
    Con questa terza parte del vangelo concorda la terza parte dell'epistola: «Chi era avvezzo a rubare, non rubi più»: ecco l'«àlzati!»; «anzi si dia da fare lavorando onestamente con le sue mani», ecco «prendi il tuo letto»: chi si applica alle opere buone toglie via il letto della sua carne; «per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28): ecco «va' a casa tua!». Va a casa sua colui che alla sua anima che si trova nella necessità, impone il dovere di compiere le opere di misericordia.
    Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo, perché ci faccia risorgere dal peccato, prendere il letto della nostra carne, e ritornare alla casa della beatitudine celeste. Ce lo conceda colui che è benedetto, pietoso e degno di amore nei secoli eterni. E ogni anima che si alza da letto della carne dica: Amen, alleluia!