Sermoni Domenicali

DOMENICA DI SETTUAGESIMA

1. «In principio Dio creò... «, ecc. (Gn 1,1).
    A Ezechiele, cioè al predicatore, parla lo Spirito Santo: «E tu, figlio dell'uomo, prenditi un mattone e disegna su di esso la città di Gerusalemme» (Ez 4,1).
    Il mattone, per le quattro proprietà che possiede, raffigura il cuore del peccatore: viene preparato tra due tavole, viene portato alla giusta dimensione, si indurisce con il fuoco, e diventa di color rosso.
    Anche il cuore del peccatore dev'essere formato tra le due tavole dei due Testamenti. Dice il Profeta: «Tra i due monti - cioè tra i due Testamenti - passeranno le acque» (Sal 103,10) cioè gli insegnamenti dottrinali.
    Giustamente è detto «dev'essere formato», perché il peccatore, deformato dal peccato, riceve la sua forma dalla predicazione dei due Testamenti. Così pure «è portato alla giusta dimensione»: la dimensione della carità, che dilata il cuore angusto del peccatore; dice infatti il salmo: «Oltre ogni confine si estende il tuo comandamento» (Sal 118,96), e la carità è più vasta dell'oceano. E ancora: s'indurisce con il fuoco; con il fuoco della tribolazione l'animo molle e fiacco si solidifica per non disperdersi nell'amore delle cose temporali, perché - dice Salomone - ciò che è la fornace per l'oro, ciò che è la lima per il ferro, ciò che è il battitoio per il grano, questo è la tribolazione per il giusto (cf. Sap 3,6). Infine diventa rosso: e in questo fatto è indicata l'arditezza del sacro zelo, del quale è detto: «Lo zelo della tua casa - cioè della chiesa o anche dell'anima fedele - mi ha divorato» (Sal 68,10); e anche Elia dice: «Io ardo di zelo» (3Re 19,10) per la casa d'Israele.
    Quindi nell'immagine del mattone sono posti in evidenza questi quattro argomenti: la conoscenza di entrambi i Testamenti per istruire il prossimo, la ricchezza della carità per amarlo, l'accettazione della sofferenza per sopportare il disprezzo per amore di Cristo, l'arditezza dello zelo per combattere contro ogni male. «Prenditi perciò un mattone e disegna su di esso la città di Gerusalemme».

2. Ricorda che c'è una triplice Gerusalemme spirituale: la prima è la chiesa militante, la seconda è l'anima fedele, la terza è la patria celeste. Quindi nel nome del Signore io prenderò il mattone, cioè il cuore di ogni ascoltatore, e disegnerò su di esso questa triplice città, vale a dire gli articoli di fede della chiesa, le virtù dell'anima fedele e i premi della patria celeste, citando e spiegando dei passi scritturali presi dall'Antico e dal Nuovo Testamento, includendo il tutto nel simbolico numero di sette.

3. «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Intendi bene il contenente e il contenuto. Dio, cioè il Padre, nel principio, cioè nel Figlio, creò e ricreò: creò per sei giorni e nel settimo riposò; ricreò con sei articoli di fede, promettendo con il settimo il riposo eterno.
    Il primo giorno Dio disse: «Sia fatta la luce. E la luce fu» (Gn 1,3); primo articolo di fede: la Natività.
    Il secondo giorno Dio disse: «Sia fatto il firmamento nel mezzo delle acque, e separi acque da acque» (Gn 1,6); secondo articolo di fede: il Battesimo.
    Il terzo giorno Dio disse: «La terra germogli erba verdeggiante che produca il seme, e piante fruttifere che diano frutto secondo la loro specie» (Gn 1,11); terzo articolo di fede: la passione.
    Il quarto giorno Dio disse: «Ci siano due grandi luci nel firmamento» (Gn 1,14); quarto articolo di fede: la Risurrezione.
    Il quinto giorno Dio fece gli uccelli dell'aria (cf. Gn 1,20); quinto articolo di fede: l'Ascensione.
    Il sesto giorno Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gn 1,26). «E soffiò sul suo viso un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7); sesto articolo di fede: l'invìo dello Spirito Santo.
    Il settimo giorno Dio si riposò da ogni lavoro che aveva compiuto (cf. Gn 2,2); settimo articolo di fede: l'arrivo al giudizio, nel quale ci riposeremo da ogni nostro lavoro e da ogni fatica.
    Invochiamo ora lo Spirito Santo, che è amore e vincolo di unione del Padre e del Figlio, affinché ci conceda di unire e concordare tra loro ognuno di questi sette punti, cioè i giorni e gli articoli di fede, in modo che tutto risulti a suo onore e a edificazione della chiesa.

4. Il primo giorno Dio disse: «Sia fatta la luce». Questa luce è la Sapienza di Dio Padre, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cf. Gv 1,9), e che abita una luce inaccessibile (cf. 1Tm 6,16).
    Di questa luce l'Apostolo nella lettera agli Ebrei dice: «Egli è lo splendore e la figura della sua sostanza» (Eb 1,3); e il Profeta: «E nella tua luce vedremo la luce» (Sal 35,10); e nel libro della Sapienza: «È lo splendore della luce eterna» (Sap 7,26).
    Di essa dunque il Padre ha detto: «Sia fatta la luce; e la luce fu»; e Giovanni con maggiore chiarezza scrive: «Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv 1,14). Ed Ezechiele con lo stesso senso ma con altre parole: «Si fece sentire sopra di me la mano del Signore» (Ez 3,22), cioè il Figlio, nel quale e per mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose. Quindi la luce, che era inaccessibile e invisibile, si è fatta visibile nella carne, illuminando chi sedeva nelle tenebre e nell'ombra della morte (cf. Lc 1,79).
    Di questa illuminazione trovi in Giovanni che Gesù «sputò in terra e fece del fango e ne spalmò gli occhi del cieco nato» (Gv 9,6). La saliva, che scende dal capo del Padre, simboleggia la sapienza. «Il capo di Cristo è Dio» (1Cor 11,3), dice l'Apostolo. La saliva viene unita alla polvere, cioè la divinità è unita all'umanità, affinché vengano illuminati gli occhi del cieco nato, cioè del genere umano, accecato nei progenitori.
    È chiaro dunque che nel giorno in cui Dio disse «Sia fatta la luce», in quello stesso giorno, cioè la domenica, la Sapienza di Dio Padre, nata dalla Vergine Maria, scacciò le tenebre che «erano sopra la faccia dell'abisso» (Gn 1,2), vale a dire nel cuore dell'uomo. Perciò in quello stesso giorno, nella Messa della Luce (Messa dell'Aurora, nel giorno di Natale), si canta: «Oggi splenderà su di noi la luce... «, e nel vangelo: «Una luce dal cielo avvolse i pastori... « (Lc 2,9).

5. Il secondo giorno Dio disse: «Sia fatto il firmamento nel mezzo delle acque e separi acque da acque». Il firmamento nel mezzo delle acque è il Battesimo, che separa le acque superiori da quelle inferiori, separa cioè i fedeli dagli infedeli: giustamente gli infedeli sono chiamati «acque inferiori», giacché cercano le cose inferiori e ogni giorno si abbassano con le loro cadute. Invece le «acque superiori» rappresentano i fedeli, i quali, come dice l'Apostolo, devono cercare «le cose di lassù, dove sta Cristo che siede alla destra di Dio» (Col 3,1).
    E osserva che queste acque vengono definite «cristalline». Infatti il cristallo, toccato o colpito dai raggi del sole, sprigiona scintille ardenti; così l'uomo fedele, illuminato dai raggi del sole, deve sprigionare le scintille della sana predicazione e del buon comportamento, che infiammeranno il prossimo.
    Ma ahimè, ahimè! squarciato il firmamento, le acque superiori si disperdono nel mare morto, entrando a far parte dei morti. Per questo dice Ezechiele: «Queste acque che escono dal cumulo di sabbia orientale e scendono alla piana del deserto, entreranno nel mare» (Ez 47,8). Il cumulo (lat. tumulus) indica la contemplazione, nella quale, come in un tumulo, il morto viene sepolto e occultato. L'uomo contemplativo, morto al mondo, appartato dall'agitazione degli uomini, è come sepolto. E Giobbe a proposito dice: «Nell'abbondanza entrerai nel sepolcro, come a suo tempo si raccoglie il mucchio di grano» (Gb 5,26). Il giusto, nell'abbondanza della grazia che gli è elargita entra nel sepolcro della vita contemplativa, come a suo tempo il mucchio di grano viene portato nel granaio: soffiata via la paglia delle cose temporali, la sua mente si rinchiude nel granaio della pienezza celeste e, così rinchiusa, si sazia della sua dolcezza.

6. E osserva che questo cumulo è detto «di sabbia orientale». Nella sabbia è indicata la penitenza. Per questo trovi nell'Esodo che Mosè «nascose sotto la sabbia l'egiziano che aveva colpito a morte» (Es 2,12), perché il giusto deve uccidere il peccato mortale con la confessione e seppellirlo con la pratica della penitenza: e questa deve essere sempre rivolta a quell'Oriente del quale Zaccaria dice: «Ecco l'uomo, il cui nome è Oriente» (Zc 6,12).
    «Queste acque escono dal cumulo di sabbia orientale». Ahimè, quante acque, quanti religiosi escono dal tumulo della vita contemplativa, dalla sabbia della penitenza, dall'oriente della grazia! Escono, ripeto, con Dina ed Esaù dalla casa paterna (cf. Gn 34,1; 28,9), con il diavolo e con Caino si allontanano dal volto di Dio (cf. Gn 4,16), con Giuda traditore - che era ladro, e aveva il suo gruzzolo segreto (Gv 12,6) - abbandonano la scuola di Cristo (cf. Gv 13, 29-30), e scendono nella piana del deserto, alla distesa del deserto di Gerico, nella quale il re Sedecia viene accecato da Nabucodonosor, cioè dal diavolo, come dice il profeta Geremia (cf. Ger 39,4-7); e ciò significa che nell'abbondanza delle cose temporali il peccatore viene privato del lume della ragione, dei propri figli, cioè delle sue opere, distrutte dal diavolo stesso.
    In questa piana Caino, il cui nome vuol dire «possesso», uccise Abele, il cui nome significa «lutto». Il possesso di un'effimera abbondanza distrugge il lutto della penitenza. Scendono dunque le acque nella piana deserta; infatti leggiamo nella Genesi: «E camminando da oriente verso occidente, trovarono una pianura nella terra di Sennaar» (Gn 11,2). Dall'oriente della grazia, i figli di Adamo camminano verso l'occidente della colpa e, trovata una piana di gaudio mondano, popolano la terra di Sennaar, nome che si interpreta «fetore». Infatti nel fetore della gola e della lussuria costruiscono la casa della loro dimora, chiamando il nome di Dio non come cristiani, ma invano come i pagani, mentre il Signore nell'Esodo comanda: «Non chiamerai invano il nome del Dio tuo» (Es 20,7). Chiama invano il nome di Dio colui che porta non la sostanza del nome, ma il nome senza la sostanza. E in questo modo entrano nel mare, cioè nell'amarezza dei peccati, per arrivare poi all'amarezza dei tormenti.
    Ma Dio ha fatto il firmamento del Battesimo nel mezzo delle acque, per dividere acque da acque. E questi peccatori, come dice Isaia, «hanno trasgredito le leggi, hanno cambiato il diritto, hanno infranto l'alleanza eterna. Per questo la maledizione divorerà la terra: i suoi abitatori peccheranno e perciò impazziranno coloro che la coltivano» (Is 24,5-6). Trasgrediscono le leggi della lettera e della grazia, perché non vogliono custodire né la legge della lettera come gli schiavi, né quella della grazia, come i figli; stravolgono il diritto naturale, che dice: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (cf. Tb 4,16); infrangono l'eterna alleanza che hanno stipulato col Battesimo. Ecco perciò che la maledizione della superbia divorerà la terra, cioè i mondani, e i suoi abitatori cadranno nel peccato di avarizia; a questi è detto nell'Apocalisse: «Guai a coloro che abitano la terra» (Ap 8,13), e coloro che la coltivano impazziranno nel peccato della lussuria, la quale appunto è follia e demenza.

7. Il terzo giorno Dio disse: «La terra germogli erba verdeggiante». La terra, il cui nome deriva dal verbo latino tero: pestare, tritare, è il corpo di Cristo, «che fu schiacciato a causa dei nostri peccati», come dice il profeta Isaia (Is 53,5). E questa terra (il corpo di Cristo) fu scavata e arata con i chiodi e con la lancia, e di essa è detto: «La terra scavata darà frutto nel tempo desiderato. La carne di Cristo trafitta ha dato il regno dei cieli» (Hervieux). Questa terra germogliò l'erba verdeggiante negli apostoli, produsse il seme della predicazione nei martiri, e l'albero fruttifero che portò frutto nei confessori della fede e nelle vergini. La fede nella chiesa primitiva era quasi tenera erba, per cui gli apostoli potevano dire con il Cantico dei Cantici (Ct 8,8ss): «La nostra sorella», cioè la chiesa primitiva, «è piccola» per il numero dei fedeli, «e non ha le mammelle» con le quali allattare i suoi figli; infatti ancora non era stata resa feconda dallo Spirito Santo, e quindi dicevano: «Che cosa faremo alla nostra sorella nel giorno» della Pentecoste, «nel quale si dovrà parlarle» con la parola dello Spirito Santo? Di questa parola il Signore nel vangelo dice: «Egli vi insegnerà ogni cosa, vi ricorderà - cioè vi somministrerà - ogni cosa» (Gv 14,26).

8. Il quarto giorno Dio disse: «Ci siano due grandi luci nel firmamento». Nel firmamento, cioè in Cristo già glorificato con la risurrezione, ci furono due luci: lo splendore della risurrezione appunto, indicata dal sole, e l'incorruttibilità della carne, simboleggiata dalla luna, tenendo presente però com'era la condizione del sole e della luna prima della caduta dei progenitori: perché dopo la loro disobbedienza tutta la creazione ha subìto un danno; infatti dice l'Apostolo: «Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi delle doglie del parto» (Rm 8,22).

9. Il quinto giorno Dio creò gli uccelli del cielo, e con questo concorda molto bene il quinto articolo di fede, vale a dire l'Ascensione, per la quale il Figlio di Dio, come un uccello, volò alla destra del Padre con la carne umana che aveva assunta. Disse infatti con le parole del profeta Isaia: «Io chiamo dall'oriente un uccello e da una terra lontana l'uomo della mia volontà» (Is 46,11). «Chiamo dall'oriente», vale a dire dal monte degli Ulivi che è in oriente, colui del quale è detto: «Egli è salito alla sommità del cielo» (Sal 67,34), cioè alla stessa dignità del Padre; «l'uccello», cioè il Figlio mio; e «da una terra lontana», vale a dire dal mondo, «l'uomo della mia volontà», colui che disse: «Il mio cibo è fare la volontà del Padre che mi ha mandato» (Gv 4,34).

10. Il sesto giorno Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». Il sesto articolo di fede è l'invìo dello Spirito Santo, in virtù del quale l'immagine di Dio, deturpata e deformata nell'uomo, con l'infusione dello Spirito Santo che «alitò nel volto dell'uomo il soffio della vita», viene restaurata e illuminata; è scritto infatti negli Atti degli Apostoli: «Venne improvviso dal cielo un rombo, come un vento che si abbatte gagliardo» (At 2,2).
    E osserva che giustamente lo Spirito Santo è detto «gagliardo» (lat. vehemens, veemente), vale a dire: che toglie via l'eterno guai (vae adimens); o anche, che porta in alto la mente (vehens mentem). Dice infatti il profeta Davide: «È segnata su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7). Il volto del Padre è il Figlio. Come infatti una persona si riconosce dal volto, così per mezzo del Figlio abbiamo conosciuto il Padre. Quindi la luce del volto di Dio è la conoscenza del Figlio e l'illuminazione della fede, che nel giorno della Pentecoste fu segnata e impressa nel cuore degli Apostoli come un carattere, e così «l'uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7).

11. Il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere. E anche la chiesa, nel settimo articolo, si riposerà da ogni fatica e sudore, quando «Dio asciugherà ogni lacrima dai suoi occhi» (Ap 21,4), eliminerà cioè ogni motivo di pianto. Allora essa sarà lodata dal suo sposo e sarà degna di sentirsi dire: «Datele del frutto delle sue mani, le sue opere la lodino alle porte» (Pro 31,31) del giudizio; e insieme ai suoi figli udrà «il mormorio di un vento leggero» (3Re 19,12): «Venite, benedetti!... « (Mt 25,34).
    Dopo aver descritto brevemente «sul mattone» questi sette giorni e i sette articoli di fede, ci accingiamo ora a descrivere in senso morale le sei virtù dell'anima fedele e le sei ore della lettura evangelica, concordandole con il «denaro» e col «sabato».
    Preghiamo dunque, fratelli carissimi, il Verbo del Padre, principio di tutta la creazione, affinché, vivendo il settenario di questa vita secondo il corpo, ci faccia vivere il settenario degli articoli della fede secondo lo spirito, per giungere, col suo aiuto, a lui che è la vita stessa, che è il riposo del sabato e il denaro [la ricompensa] dei santi. Ce lo conceda lui, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen

12. Consideriamo brevemente la «seconda Gerusalemme», cioè l'anima fedele, che in Matteo è chiamata «vigna» (cf. Mt 21,33): vediamo in che modo debba essere sarchiata con il sarchio (la zappa) della contrizione, potata con la falce della confessione e sostenuta con i paletti della penitenza (soddisfazione).
    Disse dunque Dio: «Sia fatta la luce. E la luce fu». Poiché, come dice Ezechiele, «una ruota era in mezzo a un'altra ruota» (Ez 1,16), il Nuovo Testamento cioè è nell'Antico, e cortina trae cortina (cf. Es 26,3), vale a dire il Nuovo Testamento spiega l'Antico, ecco che spiegando in senso morale le «sei ore» del vangelo con le opere dei sei giorni compiute da Dio, concorderemo il Nuovo con l'Antico Testamento.

13. Il primo giorno, dunque, Dio disse: «Sia fatta la luce. E la luce fu». Senti la concordanza della prima ora: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì di primo mattino», ecc. (Mt 20,1).
    Osserva che le virtù dell'anima sono sei, e cioè: la contrizione del cuore, la confessione della bocca, l'opera di penitenza (la soddisfazione), l'amore di Dio e del prossimo, l'esercizio della vita attiva e di quella contemplativa, il conseguimento della perseveranza finale. Quando sopra la faccia dell'abisso, cioè nel cuore, ci sono le tenebre del peccato mortale, l'uomo è vittima della mancanza della conoscenza divina e dell'ignoranza della propria fragilità, e non sa più distinguere tra il bene e il male. E questo è il «triduo» di cui si parla nell'Esodo, dove dice che per tre giorni ci furono nella terra d'Egitto delle tenebre così fitte da sembrare palpabili; ma dove si trovavano i figli d'Israele, lì c'era la luce (cf. Es 10,21-23). I tre giorni sono la conoscenza di Dio, la conoscenza di se stessi, e la capacità di distinguere tra il bene e il male.
    Riguardo ai primi due, sant'Agostino prega: «Signore, fa' che io conosca te, fa' che io conosca me». Riguardo al terzo, è detto nella Genesi che l'albero del bene e del male - ossia la capacità di distinguere tra l'uno e l'altro - stava nel giardino (cf. Gn 2,9), cioè nella mente, nello spirito dell'uomo. Il primo giorno ci illumina affinché conosciamo la dignità della nostra anima; per questo dice l'Ecclesiastico: «Custodisci con la mansuetudine la tua anima e rendile onore» (Eccli 10,31). Ma l'uomo, ridotto alla miseria, quando era nell'onore non comprese, e divenne simile agli animali (cf. Sal 48,13). Il secondo giorno ci illumina affinché conosciamo la nostra infermità, e perciò dice Michea: «La tua umiliazione è in mezzo a te» (Mic 6,14). Il centro del nostro corpo è il ventre, deposito di escrementi, e se ci meditiamo sopra, la nostra superbia resta umiliata, l'arroganza si sgonfia e la vanagloria svanisce. Il terzo giorno ci illumina per distinguere il giorno dalla notte, la lebbra dalla nitidezza, il puro dall'impuro: e questo è assolutamente necessario. Infatti «il male confina con il bene, nell'errore stesso. Spesso la virtù deve pagare per i delitti del vizio» (Ovidio).
    In questi tre giorni ci sono tenebre palpabili nella terra di Egitto e sulla faccia dell'abisso; ma dovunque ci sono i veri figli d'Israele c'è la luce, della quale Dio disse «sia la luce». Questa luce è la contrizione del cuore che illumina l'anima, produce la conoscenza di Dio e della propria infermità, e mostra la differenza tra l'uomo retto e quello malvagio.

14. Questo è il primo mattino e la prima ora nella quale uscì il padrone di casa, cioè il penitente, per ingaggiare operai che coltivassero la sua vigna, come è detto nel vangelo di questa domenica; e nell'introito della messa si canta: Mi hanno circondato gemiti di morte; e si legge la lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi: Non sapete che quelli che corrono nello stadio, ecc.
    Di questo mattino il profeta dice: «Al mattino», cioè all'inizio della grazia, «starò davanti a te» (Sal 5,5), retto ed eretto, come retto ed eretto tu mi hai fatto. Dio infatti, dice Agostino, è retto ed eretto, e ha fatto anche l'uomo retto ed eretto, affinché solo con i piedi toccasse la terra, cercasse cioè dalla terra solo le cose necessarie. Di questo mattino è detto in Marco: «Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro, essendo già sorto il sole» (Mc 16,2).
    E osserva bene che dice «il primo giorno dopo il sabato»: nessuno infatti può «andare al sepolcro», cioè meditare sulla propria morte, se prima non si libera dalla preoccupazione delle cose materiali. «Nel mattino» della contrizione - dice il Profeta - «sterminavo tutti i peccatori della terra» (Sal 100,8), reprimevo cioè tutti i moti disordinati della mia carne. «Chi è costei» - dice lo sposo dell'anima penitente - «che avanza come l'aurora che sorge?» (Ct 6,9). Infatti come l'aurora segna l'inizio del giorno e la fine della notte, così la contrizione segna la fine del peccato e l'inizio della penitenza. Perciò dice l'Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5,8), e ancora: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12).

15. Perciò alla prima luce e di buon mattino esca il padrone di casa a coltivare la vigna, della quale dice Isaia: «Al mio amato è stata fatta (data) una vigna su di un colle (in cornu) figlio dell'olio (ubertoso, fertile). Egli la circondò di una siepe e la liberò dai sassi; edificò in mezzo ad essa una torre, vi costruì un torchio e vi piantò delle viti scelte» (Is 5,1-2).
    «La vigna», cioè l'anima», «è stata fatta per l'amato», cioè ad onore dell'amato, «in un colle (in cornu)», cioè nella potenza della passione. «Per l'amato, figlio dell'olio», cioè della misericordia; infatti solo per la sua misericordia e «non per opere di giustizia da noi compiute» (Tt 3,5) egli ha salvato la vigna. «E la circondò di una siepe», la siepe della legge scritta e di quella della grazia, di cui Salomone nell'Ecclesiaste dice: «Chi distrugge la siepe», cioè trasgredisce la legge, «lo morderà il serpente» (Eccle 10,8), il diavolo che cerca le ombre (coluber, colit umbras), cerca cioè i peccatori. Per questo dice Giobbe: «Egli dorme all'ombra», cioè nella mente tenebrosa, «riposa nascosto nel canneto», vale a dire nella falsità dell'ipocrita, «e in luoghi umidi» (Gb 40,16), ossia nei lussuriosi.
    «E la liberò dai sassi», cioè dalla durezza del peccato; «edificò la torre» dell'umiltà, ossia la parte superiore della ragione, «in mezzo ad essa, e vi costruì il torchio» della contrizione, dal quale si spreme il vino delle lacrime, e così con gli esempi e gli insegnamenti dei santi «impiantò viti scelte»: in questa vigna il padrone di casa deve condurre di buon mattino gli operai, cioè l'amore e il timore di Dio, che la coltivino nel modo dovuto.

16. A proposito di questo mattino, trovi ancora nel primo libro dei Re, che «Saul, entrato in mezzo agli accampamenti» dei figli di Ammon «sul primo mattino, fece strage degli Ammoniti fino a che il giorno si fece caldo» (1Re 11,11). Saul indica il penitente, unto con l'olio della grazia; questi, di primo mattino, cioè con la contrizione del cuore, deve introdursi tra gli accampamenti dei figli di Ammon, nome che s'interpreta «acqua paterna» e indica i moti carnali, i quali provengono a noi come acqua fluente dai progenitori. Saul deve distruggerli fino a che il giorno si fa caldo, vale a dire finché il fervore della grazia irradia l'anima e, dopo averla irradiata, la riscalda.
    Sempre a proposito di questo mattino, troviamo nel profeta Giona che «il Signore allo spuntar dell'alba mandò un verme (tarlo) che rosicchiò l'edera, e questa seccò» (Gio 4,7). L'edera che da se stessa non può spingersi in alto, ma lo fa attaccandosi ai rami di qualche albero, sta a significare il ricco di questo mondo, il quale può elevarsi al cielo non per se stesso, ma con le elemosine elargite ai poveri, che lo sollevano a modo di braccia. Perciò il Signore nel vangelo dice: «Fatevi degli amici con il denaro dell'iniquità, cioè dell'ingiustizia, affinché quando verrete a mancare, vi accolgano», ecc. (Lc 16,9). Questa edera, «allo spuntar dell'alba», cioè col sorger della grazia o con la contrizione del cuore, viene colpita e staccata dal dente del tarlo, cioè dal rimorso della coscienza, così che cadendo per terra, cioè considerandosi terra, si dissecca in se stessa e svilisce; dice infatti il Profeta: «Venne meno il mio cuore», cioè la superbia del mio cuore, «e la mia carne» (Sal 72,26), cioè la mia carnalità.
    Dopo aver fatto queste considerazioni sul «primo giorno» della creazione e sul «primo mattino» della contrizione, passiamo al secondo giorno della creazione e all'ora terza della confessione.

17. Il secondo giorno Dio disse: «Sia fatto il firmamento nel mezzo delle acque e separi acque da acque». Il firmamento è la confessione, che recinge saldamente l'uomo affinché non si disperda nei piaceri. Perciò il Signore, per bocca di Geremia, rimprovera l'anima peccatrice, priva di questo firmamentum, cioè di questo sostegno: «Fino a quando ti consumerai nei piaceri, o figlia vagabonda?» (Ger 31,22); e Isaia aggiunge: «Percorri la terra come un fiume, o figlia del mare, perché tu non hai più cintura» (Is 23,10). La misera anima è detta «figlia del mare», perché succhia avidamente, quasi da diabolica mammella, i piaceri del mondo, che hanno il gusto della dolcezza ma generano amarezza sempiterna. Dice infatti Giacomo: «La concupiscenza genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte» (Gc 1,15). Alla misera anima è detto: «Percorri la terra come un fiume», come le dicesse: Cingiti con la cintura della confessione e raccogli le tue vesti affinché non scendano a toccare le immondezze; e non voler passare attraverso il fiume dell'abbondanza dei beni terreni, dove molti si sono perduti, ma scegli di passare per il ruscello della semplicità e le strettezze della povertà: giacché attraverso un ruscello si passa con tranquillità di spirito. Ma l'anima peccatrice «non ha cintura», non ha il sostegno della confessione, del quale appunto è detto: «Sia fatto il firmamento nel mezzo delle acque, e divida acque da acque».
    Le acque superiori sono gli effluvi della grazia, le acque inferiori sono le esalazioni della concupiscenza, che devono essere tenute sotto il dominio dell'uomo. O in altro senso: la mente del giusto ha le acque superiori, cioè la ragione che è la potenza superiore dell'anima e richiama sempre l'uomo al bene; ha le acque inferiori, cioè la sensualità che tende sempre alla caduta. Il firmamento della confessione divida perciò le acque superiori dalle inferiori, affinché il penitente, uscito da Sodoma e salendo ai monti, non si volti indietro a guardare, come la moglie di Lot, e venga trasformato in una statua o in blocco di sale (cf. Gn 19,17-26), che gli animali, cioè i demoni, consumeranno leccandolo con grande avidità. Il penitente, uscito dall'Egitto con i veri Israeliti e dirigendosi verso la terra promessa, non si prenda come guida la propria volontà, che lo farebbe ritornare alle pentole di carni, ai meloni e alle cipolle dell'Egitto, cioè ai desideri carnali.
    «Sia fatto dunque», vi scongiuro, «un firmamento nel mezzo delle acque», affinché il penitente, data al confessore la caparra del fermo proposito di non ricadere in peccato, nella stessa confessione, quasi nell'ora terza, meriti, insieme con gli apostoli, di essere inebriato col mosto dello Spirito Santo, e come un otre, divenuto nuovo con la confessione, sia riempito del nuovo vino. Dice infatti il Signore: Se il vino nuovo, cioè la grazia dello Spirito Santo, fosse versato nell'otre vecchio dei giorni di peccato, l'otre si romperebbe e il vino si verserebbe (cf. Lc 3,57), come accadde all'incallito traditore Giuda il quale, sospeso per il collo come un otre, crepò al centro del ventre, e si sparsero per terra le sue viscere, che erano state corrose dal veleno dell'avarizia (cf. At 1,18).
    Giustamente la confessione è chiamata «ora terza», nella quale il vero penitente, come un padrone di casa, coltiva la vigna della sua anima. Egli infatti deve confessarsi colpevole di tre cose: di aver offeso il Signore, di aver ucciso se stesso e di aver scandalizzato il prossimo, omettendo di dare a ciascuno secondo la debita giustizia: a Dio l'onore, a se stesso la diffidenza, al prossimo l'amore. Ecco perché nell'introito della messa di oggi si lamenta dicendo: «Mi hanno circondato gemiti di morte» perché ho offeso Dio; «le pene dell'inferno mi hanno afferrato», perché sono caduto nel peccato mortale; «e nella mia tribolazione», nella quale soffro perché ho scandalizzato il prossimo, «ho invocato» con la contrizione del cuore «il Signore, ed egli dal suo santo tempio», cioè dalla sua umanità nella quale abita la divinità, «ha ascoltato la mia voce» (Sal 17,5-7), cioè la voce della mia confessione.

18. Il terzo giorno Dio disse: «La terra germogli erba verdeggiante che produca seme secondo il genere suo, e abbia in se stessa il suo seme sopra la terra». Ricorda che nel terzo giorno viene indicato l'adempimento della penitenza (la soddisfazione), che consiste in tre cose: la preghiera, il digiuno e l'elemosina, tutte e tre indicate dalle parole di Dio.
    «La terra germogli erba verdeggiante». L'erba verdeggiante raffigura la preghiera. Dice Giobbe del penitente: «Chi lasciò libero l'asino selvatico e chi sciolse i suoi legami? Ad esso ho dato per casa il deserto e le sue tende sono in terra salmastra. Disprezza la moltitudine della città e non sente il clamore dell'esattore (dei sorveglianti). Abbraccia con lo sguardo i monti del suo pascolo e va in cerca di tutto ciò che è verde» (Gb 39,5-8). L'ònagro, il cui nome deriva da onus (peso) e ager (campo), raffigura il penitente, che nel campo della chiesa si sottopone al peso della penitenza. Il Signore lo manda libero e scioglie i suoi legami, quando gli permette di andarsene, libero dalla schiavitù del demonio e sciolto dalle catene dei suoi peccati. Per questo il Signore dice agli Apostoli: «Scioglietelo e lasciatelo andare» (Gv 11,44).
    A questo penitente Dio dà per casa la solitudine della mente e le tende della vita attiva, nelle quali combatte «in terra salmastra», vale a dire tra le vicissitudini mondane. E così questo penitente disprezza la moltitudine della città, della quale il Signore per bocca del Profeta dice: «Io sono il Signore e non cambio» (Ml 3,6), e non entro nella città; e David: «Nella città ho visto l'iniquità» contro Dio, «e le contese» contro il prossimo (Sal 54,10). «E non ascolta la voce dell'esattore». L'esattore è il diavolo, che una volta offrì al nostro progenitore la moneta del peccato, e adesso non cessa mai di richiederla ogni giorno con gli interessi dell'usura. Il penitente non ascolta la voce di questo esattore, quando si rifiuta di acconsentire alle sue suggestioni. Oppure: l'esattore è il ventre che ogni giorno esige ad alta voce il tributo della gola; ma il penitente non lo ascolta per nulla, perché gli obbedisce non per il piacere, ma solo per necessità.
    Questo ònagro «abbraccia con lo sguardo i monti del suo pascolo», perché, arrivato ad un modo di vivere superiore, guardandosi intorno ha scoperto i pascoli della sacra Scrittura, e dice con il Profeta: «Il Signore mi ha posto su pascoli erbosi» (Sal 22,2); e così ricerca nella preghiera assidua tutto ciò che è verde, per giungere, dai pascoli della lettura sacra, al possesso delle erbe verdeggianti dell'orazione devota, della quale è detto appunto: «Germogli la terra erba verdeggiante».

19. «E che produca il seme»: parole con le quali è indicato il digiuno. Dice Isaia: «Beati voi, che seminate sopra le acque, e legate il piede del bue e dell'asino» (Is 32,20). Semina sopra le acque colui che alla preghiera e alla compunzione delle lacrime aggiunge il digiuno, e così lega con i vincoli dei comandamenti «il piede del bue e dell'asino», vale a dire gli affetti dello spirito e del corpo. Dice infatti il Signore: Questa specie di demoni, cioè l'impurità del cuore e la lussuria della carne, non può essere scacciata se non con la preghiera e il digiuno (cf. Mt 17,20). Infatti con la preghiera purifichiamo il cuore dai pensieri cattivi, e con il digiuno freniamo l'arroganza della carne.
    Segue il terzo punto: «L'albero da frutto, che faccia frutto secondo la sua specie». Nell'albero da frutto è raffigurata l'elemosina che produce il suo frutto nei bisognosi e per mano degli stessi viene riportata in cielo. E osserva che è detto: «che faccia frutto secondo la sua specie». La specie dell'uomo è un altro uomo, creato dalla terra (humus) e reso vivente con l'anima. Perciò deve fare l'elemosina, «deve fare frutto secondo la sua specie», perché l'anima si ristora con il pane spirituale e il corpo con quello materiale. Dice infatti Giobbe: «Visitando la tua specie non commetterai peccato» (Gb 5,24). La tua specie è l'altro uomo, che tu devi visitare sia con l'elemosina spirituale che con quella materiale; e così non peccherai contro quel comandamento che dice: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39). Ma osserva che è detto: «Abbia in sé il suo seme» (Gn 1,11), e Agostino insegna: «Chi vuol fare l'elemosina rettamente, deve incominciare prima da se stesso».
    Queste tre cose dunque rendono perfetta la pratica della penitenza (soddisfazione), la quale è bene raffigurata nell'ora sesta, cioè il mezzogiorno, quando il padrone di casa uscì e ingaggiò operai che coltivassero la vigna. Osserva che il mezzogiorno, momento in cui il sole scotta più che nelle altre ore del giorno, raffigura il fervore nel compiere la soddisfazione (l'opera di penitenza ordinata nella confessione). Verso la fine del Deuteronomio sta scritto: «Neftali nuoterà nell'abbondanza e sarà ripieno della benedizione del Signore: possederà il mare e il mezzogiorno» (Dt 33,23). Neftali si interpreta «convertito» oppure «dilatato», e raffigura il penitente che si converte dalla sua cattiva condotta, e si allarga alle buone opere. Egli, nel suo cammino, godrà dell'abbondanza della grazia e sarà ripieno della benedizione della gloria; ma per essere degno di meritarla, è necessario che sia prima in possesso del mare, cioè dell'amarezza del cuore (pentimento), e del mezzogiorno, cioè del fervore della soddisfazione.

20. Il quarto giorno Dio disse: «Ci siano nel firmamento due grandi luci». La quarta virtù è l'amore verso Dio e verso il prossimo: l'amore di Dio è raffigurato dallo splendore del sole, l'amore del prossimo dalla mutevolezza della luna. Non ti dà l'impressione di una certa mutevolezza l'espressione: «godere con quelli che godono e piangere con quelli che piangono»? (Rm 12,15). Troviamo a proposito nel Deuteronomio: «La terra di Giuseppe sia ripiena di tutti i frutti del sole e della luna» (Dt 33,14). I frutti indicano le opere del giusto, per la gioia della perfezione, per la bellezza della retta intenzione, per il profumo della buona reputazione. Questi frutti provengono dal sole e dalla luna, cioè dall'amore di Dio e del prossimo, due virtù che rendono perfetto chiunque. Questo duplice amore è raffigurato nell'ora nona, quando ancora una volta uscì il padrone di casa. La perfezione di questo duplice amore conduce alla perfezione della beatitudine angelica, che il profeta Ezechiele suddivide in nove ordini, sotto il simbolo delle nove pietre preziose, quando dice a Lucifero: «Tu eri coperto di ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici, diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi» (Ez 28,13).

21. Il quinto giorno Dio creò i pesci nel mare e gli uccelli sopra la terra. La quinta virtù è la pratica della vita attiva e di quella contemplativa. In essa l'uomo attivo, come il pesce, percorre le vie del mare, cioè del mondo, per poter assistere il prossimo sofferente nelle sue necessità; e l'uomo contemplativo come un uccello si innalza al cielo sulle ali della contemplazione, e nella misura delle sue capacità contempla «il re nel suo splendore» (Is 33,17). «L'uomo - dice Giobbe - nasce alla fatica» della vita attiva, «e l'uccello al volo» della vita contemplativa (Gb 5,7).
    Osserva poi che, come l'uccello che ha il petto largo viene frenato dal vento perché sposta molta aria, mentre quello che ha il petto stretto e penetrante vola più veloce e senza difficoltà, così la mente del contemplativo, se si allarga a molti e svariati pensieri, viene troppo ostacolata nel volo della contemplazione; se invece la sua mente incomincia a volare raccolta e concentrata in una cosa sola, fruirà veramente del gaudio della contemplazione.
    L'esercizio di questa duplice vita è raffigurato nell'ora undicesima, nella quale il padrone di casa esce per l'ultima volta. L'undicesima ora consta dell'uno e del dieci: la vita contemplativa si riferisce all'uno, perché essa ha per oggetto Dio solo, unico gaudio; invece la vita attiva si riferisce ai dieci precetti del decalogo, nei quali essa stessa raggiunge la sua pienezza nel tempo di questo esilio terreno.

22. Il sesto giorno Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». La sesta e ultima virtù dell'anima è la perseveranza finale, che è raffigurata nella coda della vittima sacrificale, e nella lunga, variopinta tunica di Giuseppe; senza la perseveranza finale le altre cinque virtù sopra elencate sono inutili; solo insieme ad essa si possiedono fruttuosamente; solo in essa l'immagine e la somiglianza di Dio, che mai deve essere deturpata, o macchiata o cancellata, si imprime eternamente nel volto dell'anima, come avvenne nel sesto giorno della creazione.
    Questa «sera» (lat. sero, tardi) del vangelo, ultima ora della vita umana, nella quale il padrone di casa per mezzo del suo amministratore, cioè del suo Figlio, dà il denaro a colui che ha lavorato assiduamente nella vigna, è rappresentata dal sabato, che vuol dire «riposo». Di esso dice Isaia: «Ci sarà mese da mese», vale a dire che la perfezione della gloria dipenderà dalla perfezione della vita; e «ci sarà sabato da sabato» (Is 66,23): il riposo dell'eternità, cioè, dipenderà dalla tranquillità del cuore, che è data dalla duplice stola dell'anima e del corpo (la veste della grazia e dell'innocenza).
    L'anima sarà glorificata con tre prerogative, e il corpo con quattro.
    L'anima sarà ornata con la sapienza, con l'amicizia e con la concordia. La sapienza di Dio risplenderà nel volto dell'anima: vedrà Dio come egli è (cf. 1Gv 3,2), e lo conoscerà come essa stessa è conosciuta (cf. 1Cor 13,12). Anche l'amicizia riguarda Dio, e di essa Isaia dice: «Colui il cui fuoco è stato in Sion», cioè nella chiesa militante, «avrà la sua fornace» di ardentissimo amore «in Gerusalemme», vale a dire nella chiesa trionfante (Is 31,9). La concordia riguarda il prossimo, della cui gloria l'anima esulterà e godrà quanto godrà della propria.
    Quattro poi saranno le prerogative del corpo: lo splendore, la trasparenza, l'agilità e l'immortalità. Di esse è detto nella Sapienza: «I giusti risplenderanno», ecco lo splendore, «e come scintille», ecco la trasparenza, «correranno qua e là», ecco l'agilità, «e il loro Signore regnerà in eterno», ecco l'immortalità (Sap 3,7-8). Dio infatti non è il dio dei morti ma il Dio dei viventi (cf. Mt 22,32).

23. Per essere degni di ricevere questa corona incorruttibile, adorna di queste sette pietre preziose (tre dell'anima e quattro del corpo), corriamo come ci raccomanda l'Apostolo nell'epistola di oggi: «Non sapete che quelli che corrono nello stadio, corrono sì tutti, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo. Però quelli che si affrontano nella gara sono temperanti in tutto: essi lo fanno per guadagnarsi una corona corruttibile, noi invece dobbiamo farlo per guadagnarne una incorruttibile» (1Cor 9,24-25).
    Lo stadio è l'ottava parte del miglio, misura centoventicinque passi e raffigura la fatica di questo esilio, durante il quale dobbiamo correre nell'unità della fede (cf. Ef 4,13), con i passi dell'amore, che sono appunto centoventicinque. In questo numero è indicata tutta la perfezione dell'amore divino: nel cento, che è il numero perfetto, è raffigurata la dottrina evangelica; nel venti i precetti del decalogo, che devono essere osservati sia in senso letterale che in senso spirituale; nel cinque è indicato l'appagamento dei cinque sensi dell'uomo, che dev'essere frenato ed evitato. Colui che corre in questo stadio conquista il premio, cioè la ricompensa della corona incorruttibile, della quale è detto nell'Apocalisse: «Io ti darò - dice il Signore - la corona della vita» (Ap 2,10).
    Fratelli carissimi, con suppliche e lacrime imploriamo il Signore affinché, lui che ci ha creati e ricreati, creati dal nulla e ricreati con il suo sangue, si degni di stabilirci nel mistico settenario dell'eterna felicità. E così meritiamo di vivere eternamente con lui che è il principio di tutte le creature.
    Ce lo conceda benignamente lui stesso, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.