Sermoni Domenicali

INIZIO DEL DIGIUNO (MERCOLEDÌ DELLE CENERI)

1. Gesù ai suoi discepoli: Quando digiunate non diventate tristi come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano..., profumatevi invece la testa e lavatevi il volto, ecc. (cf. Mt 6,16-17). Quando fate l'elemosina, non suonate la tromba davanti a voi, come fanno gli ipocriti…, non sappia invece la vostra sinistra ciò che fa la vostra destra, ecc. (cf. Mt 6, 2-3).
    In questo brano evangelico vengono trattati due argomenti: il digiuno e l'elemosina.

2. «Quando digiunate». In questa prima parte si devono considerare quattro cose: la finzione degli ipocriti, l'unzione della testa, la lavanda del volto, l'occultamento del bene.
    «Quando digiunate». Si legge nella Storia Naturale che con la saliva dell'uomo digiuno si resiste agli animali portatori di veleno: anzi se un serpente la ingerisce, esso muore (Plinio). Quindi nell'uomo digiuno c'è veramente una grande medicina.
    Adamo nel paradiso terrestre, finché digiunò dal frutto proibito, si mantenne nell'innocenza. Ecco la medicina che uccide il diabolico serpente e che restituisce il paradiso, perduto per colpa della gola. Perciò è detto che Ester castigò il suo corpo con i digiuni, per far cadere l'orgoglioso Aman e riconquistare ai giudei la benevolenza del re Assuero (cf. Est 4, sparsim). Digiunate dunque se volete conseguire queste due cose: la vittoria sul diavolo e la restituzione della grazia perduta. Ma «quando digiunate, non diventate tristi come gli ipocriti» (Mt 6,16), cioè non ostentate il vostro digiuno con la tristezza del volto: non proibisce la virtù, bensì la falsa apparenza della virtù. .
    Ipocrita si dice anche «dorato», che cioè ha l'apparenza dell'oro, ma all'interno, nella coscienza, è fangoso. Questo è l'idolo dei Babilonesi Bel (Bal), del quale dice Daniele: «Non t'ingannare, o re, quest'idolo di fuori è di bronzo, ma di dentro è solo fango» (Dn 14,6).
    Il bronzo risuona e all'aspetto può quasi sembrare oro. Così l'ipocrita ama il suono della lode e ostenta una parvenza di santità. L'ipocrita è umile nel volto, dimesso nella veste, sommesso nella voce, ma lupo nella sua mente.
    Questa tristezza non è secondo Dio. È un modo strano di procurarsi la lode, quello di ostentare i segni della tristezza. Gli uomini sono soliti rallegrarsi quando guadagnano soldi. Ma si tratta di affari diversi: in questi ultimi c'è la vanità, negli altri la falsità.
    «Si sfigurano (lat. exterminant) la faccia» (Mt 6,16), cioè la avviliscono oltre i limiti (extra terminos) della condizione umana. Come si può menar vanto del lusso delle vesti, così si può farlo anche dello squallore e della macilenza. Non si deve abbandonarsi né ad uno squallore esagerato, né ad una eccessiva ricercatezza: è bene tenere il giusto mezzo.
    «Per far vedere agli uomini... «. Qualunque cosa facciano, è apparenza, dipinta di falso colore. Commenta la Glossa: Lo fanno per apparire diversi dagli altri ed essere chiamati superuomini, perfino per lo svilimento.
    «... che digiunano» (Mt 6,16). L'ipocrita digiuna per riceverne lode, l'avaro per riempire la borsa, il giusto per piacere a Dio. «In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,16). Ecco la mercede del postribolo, del quale dice Mosè: «Non prostituire tua figlia» (Lv 19,29). La figlia rappresenta le loro opere, che pongono nel postribolo del mondo per riceverne la ricompensa della lode. Sarebbe pazzo chi vendesse per un soldo di piombo una preziosa moneta d'oro. Ma vende per un prezzo vilissimo una cosa di grande valore, colui che fa il bene per averne lode dagli uomini.
3. «Tu invece, quando digiuni, ungiti il capo e lavati il volto» (Mt 6,17). Ciò è in accordo con quanto dice Zaccaria: «Questo dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto mese, del quinto, del settimo e del decimo mese saranno per la casa di Giuda giorni di gaudio e di letizia, giorni di grande festa» (Zc 8,19).
    «Casa di Giuda» s'interpreta «che manifesta», o «che loda», e raffigura i penitenti che manifestando e confessando i loro peccati dànno lode a Dio. Di costoro è, e dev'essere, il digiuno del quarto mese, perché digiunano (si astengono) da quattro peccati: dalla superbia del diavolo, dall'impurità dell'anima, dalla gloria del mondo, dall'ingiuria al prossimo. «Questo è il digiuno che io amo» dice il Signore (Is 58,6).
    Il digiuno del quinto mese consiste nel trattenere i cinque sensi dalle distrazioni e dai piaceri illeciti. Il digiuno del settimo mese è la repressione della cupidigia terrena: come infatti si legge che il settimo giorno non ha fine, così neppure la cupidigia del denaro tocca mai il fondo della sufficienza.
    Il digiuno del decimo mese consiste nell'astenersi dal perseguire uno scopo cattivo. Il dieci segna la fine di ogni numero: e chi vuol contare oltre deve ricominciare dall'uno. Il Signore si lamenta per bocca di Malachia: «Voi mi frodate, e mi dite: In che cosa ti abbiamo frodato? Nelle decime e nelle primizie» (Ml 3,8), cioè nel cattivo scopo e nell'inizio di una intenzione perversa. E fa' attenzione, che mette le decime prima delle primizie, perché è soprattutto per il fine perverso che viene condannata tutta l'opera precedente. Questo digiuno si trasforma per i penitenti in gaudio della mente, in letizia di amore divino e in splendida solennità di celeste conversazione.
    Questo vuol dire ungere il capo e lavare il volto. Unge il capo colui che nel suo interno è ricolmo di letizia spirituale; lava il suo volto colui che orna le sue opere con l'onestà della vita.
4. Altro senso. «Tu invece quando digiuni... «. Sono molti coloro che digiunano in questa quaresima, e tuttavia persistono nei loro peccati. Questi non si ungono il capo.
    Osserva che c'è un triplice unguento: il lenitivo (sedativo), il corrosivo e il pungitivo (che punge). Il primo lo produce il pensiero della morte, il secondo la presenza del futuro Giudice, il terzo la geenna.
    C'è il capo coperto di pustole, di verruche e di impetigine. La pustola è una piccola protuberanza superficiale, rigonfia di marcia (pus); la verruca è un'escrescenza di carne superflua, per cui verrucoso può significare anche «superfluo»; l'impetigine è una scabbia secca, che deturpa la bellezza. In queste tre infermità sono indicate la superbia, l'avarizia e la lussuria ostinata.
    Tu, o superbo, richiama agli occhi della tua mente la corruzione del tuo corpo, il marciume e il fetore che manderà. Dove sarà allora quella tua superbia del cuore, quella tua ostentazione di ricchezze? Allora non ci saranno più le parole piene di vento, perché la vescica si sgonfia ad una minima puntura di ago. Queste verità, meditate nell'intimo, ungono il capo pustoloso, umiliano cioè la mente orgogliosa.
    E tu, o avaro, ricordati dell'ultimo esame, dove ci sarà il Giudice sdegnato, ci sarà il carnefice pronto a tormentare, vi saranno i demoni che accusano e la coscienza che rimorde. Allora il tuo argento sarà gettato via, l'oro diventerà sudiciume; il tuo oro e il tuo argento non potranno liberarti dal giorno dell'ira del Signore (cf. Ez 7,19). Queste verità, meditate con attenzione, consumano e staccano le verruche della superfluità, e le dividono tra coloro che mancano anche del necessario. Perciò, quando digiuni, cospargi - ti scongiuro - il tuo capo con questo unguento, affinché ciò che sottrai a te stesso venga elargito al povero.
    Tu poi, o lussurioso, pensa alla geenna dal fuoco inestinguibile, dove ci sarà morte senza morte, fine senza fine; dove si cerca la morte ma non la si trova; dove i dannati si mangeranno la lingua e malediranno il loro Creatore. Legna di quel fuoco saranno le anime dei peccatori e il soffio dell'ira di Dio le incendierà. Dice Isaia: «Da ieri», cioè dall'eternità, «è preparato il Tofet», la geenna di fuoco, «profonda e vasta. Fuoco e legna abbonderanno; il soffio del Signore l'accenderà come torrente di zolfo» (Is 30,33). Ecco l'unguento che punge, che penetra, capace di risanare la più ostinata lussuria. Come chiodo scaccia chiodo, così queste verità, meditate assiduamente, sono in grado di reprimere gli stimoli della lussuria. Tu quindi, quando digiuni, ungiti il capo con questo unguento.
5 «Lava il tuo volto». Le donne, quando vogliono uscire in pubblico, si mettono davanti allo specchio e se scoprono nel loro viso qualche macchia, la lavano con l'acqua. Così anche tu, guarda nello specchio della tua coscienza, e se vi troverai la macchia di qualche peccato, corri immediatamente alla fonte della confessione. Quando nella confessione si lava con le lacrime il viso del corpo, anche il volto dell'anima viene deterso e illuminato. C'è da osservare che le lacrime sono luminose contro l'oscurità, sono calde contro il freddo, sono salate contro il fetore del peccato.
    «Perché gli uomini non vedano che tu digiuni». Digiuna per gli uomini chi cerca il loro plauso. Digiuna per il Signore chi si macera per suo amore e largisce agli altri ciò che sottrae a se stesso.
    «Ma solo il Padre tuo che è nel segreto» (Mt 6,18). Aggiunge la Glossa: Il Padre è nel segreto, cioè nell'intimo, per mezzo della fede, e ricompensa ciò che viene fatto nel segreto. Quindi nel segreto si deve digiunare, perché lui solo veda. Ed è necessario che chi digiuna, digiuni in modo da piacere a colui che porta in seno. Amen.

6. «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano» (Mt 6,19).
    La ruggine consuma i metalli, la tignola le vesti; ciò che si salva da questi due flagelli, lo rubano i ladri. Con queste tre espressioni viene condannata ogni forma di avarizia. Vedremo il significato morale delle cinque parole: terra, tesori, ruggine, tignola e ladri.
    La terra, così chiamata perché si dissecca (lat. torret) per la siccità naturale, raffigura la carne, che è talmente assetata da non dire mai basta. I tesori sono i preziosi sensi del corpo. La ruggine, malattia del ferro, così chiamata da erodere, indica la libidine che, mentre diletta, distrugge lo splendore dell'anima e la consuma. La tignola, così chiamata perché «tiene», indica la superbia oppure l'ira. I ladri (lat. fures, da furvus: oscuro), che lavorano nell'oscurità della notte, raffigurano i demoni.
    Quindi se ci comportiamo secondo la carne, nascondiamo i tesori nella terra, vale a dire che, mentre occupiamo i preziosi sensi del corpo nei desideri terreni o della carne, la ruggine, cioè la libidine, li consuma. Inoltre la superbia, l'ira e gli altri vizi distruggono la veste dei buoni costumi, e se resta ancora qualche cosa i demoni la rubano, poiché sono sempre intenti proprio a questo: spogliare dei beni spirituali.
    «Accumulatevi dei tesori nel cielo» (Mt 6,20). Grande tesoro è l'elemosina. Disse Lorenzo: Le ricchezze della Chiesa sono state riposte nel tesoro celeste dalle mani dei poveri. Accumula tesori in cielo chi dà a Cristo. Dà a Cristo chi largisce al povero: Ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (cf. Mt 25,40).
    «Elemosina» è un termine greco: in latino è misericordia. Misericordia significa «che irrìga il misero cuore» (miserum rigans cor). L'uomo irrìga l'orto per ricavarne i frutti. Irrìga anche tu il cuore del povero miserabile con l'elemosina, che è detta l'acqua di Dio, per riceverne il frutto nella vita eterna. Il tuo cielo sia il povero: in lui riponi il tuo tesoro, affinché in lui sia sempre il tuo cuore: e ciò soprattutto durante questa santa quaresima.
    E dov'è il cuore è anche l'occhio; e dove sono il cuore e l'occhio, lì è anche l'intelletto, del quale dice il salmo: «Beato chi fa attenzione (intelligit, comprende, ha cura) al misero e al povero (Sal 40,2). E Daniele disse a Nabucodonosor: «Ti sia accetto, o re, il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l'elemosina e le tue iniquità con opere di misericordia verso i poveri» (Dn 4,24).
    Molti sono i peccati e le iniquità, e perciò molte devono essere le elemosine e le opere di misericordia verso i poveri: riscattati con esse dalla schiavitù del peccato, possiate ritornare liberi alla patria celeste. Ve lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.

7. Si legge nel libro dei Giudici che Gedeone espugnò gli accampamenti di Madian con lucerne, trombe e brocche (cf. Gdc 7,16-23). Anche Isaia dice: «Ecco il Dominatore, il Signore degli eserciti spezzerà con il terrore la brocca di terracotta; gli alti di statura saranno troncati, e i potenti saranno umiliati. Il folto della selva sarà distrutto col ferro, e il Libano cadrà con i suoi alti cedri» (Is 10,33-34). Vediamo che significato morale abbiano Gedeone, la lucerna, la tromba e la brocca.
    Gedeone s'interpreta «che gira nell'utero», e indica il penitente che, prima di accostarsi alla confessione, deve girare nell'utero della sua coscienza, nella quale viene concepito e generato il figlio della vita o della morte. [Deve pensare] alla sua età, a quanti anni poteva avere quando incominciò a peccare mortalmente, e poi quanti e quali peccati mortali ha commesso e quante volte; quali furono i luoghi, quali i tempi; se ha peccato in privato o in pubblico, se è stato costretto, se è stato prima tentato oppure se ha peccato prima ancora di essere tentato, ciò che è molto più grave.
    E se si è già confessato di tutte queste cose; e se, dopo essersi confessato, è ricaduto negli stessi peccati, e quante volte; perché in questo caso è stato molto e molto più ingrato verso la grazia di Dio. Se ha trascurato la confessione e per quanto tempo è rimasto in peccato senza confessarsi; e se in peccato mortale ha ricevuto il corpo del Signore.
    Di questo giro di ricerca è detto nel primo libro dei Re: «Samuele fu giudice (iudicabat) in Israele tutti i giorni della sua vita. E ogni anno andava in giro a Betel, a Gàlgala e a Masfa. Ritornava poi a Rama perché lì era la sua casa» (1Re 7,15-16). Samuele s'interpreta «che ascolta il Signore», Betel «casa di Dio», Gàlgala «colle della circoncisione», Masfa «che contempla il tempo», Rama «vidi la morte». Quindi il penitente, sentendo il Signore che dice «fate penitenza» (Mt 3,2), deve giudicare se stesso per tutti i giorni della sua vita, per vedere se egli è Israele, cioè se è uno che vede Dio.
    Ogni anno, durante questa quaresima, deve perquisire la propria coscienza, che è la casa di Dio, e tutto ciò che vi trova di nocivo o di superfluo deve circonciderlo nell'umiltà della contrizione; e deve anche considerare il tempo passato, cercando diligentemente ciò che ha commesso, ciò che ha omesso, e, dopo tutto questo, ritornare sempre al pensiero della morte, che deve avere davanti agli occhi, anzi in questo pensiero deve dimorare.
8. Il penitente, attento esploratore, fatto in questo modo il giro, deve subito accendere la lampada che arde e illumina (cf. Gv 5,35); in essa è indicata la contrizione, la quale, per il fatto che arde, per questo anche illumina. Infatti dice Isaia: «La luce d'Israele diverrà un fuoco e il suo Santo una fiamma; e sarà acceso e divorerà le sue spine e i suoi rovi in un giorno. La magnificenza della sua selva e del suo Carmelo sarà consumata dall'anima fino alla carne» (Is 10,17-18) .
    Ecco che cosa fa la vera contrizione. Quando il cuore del peccatore si accende con la grazia dello Spirito Santo, brucia per il dolore e illumina per la cognizione di se stesso; e allora le spine, cioè la coscienza piena di triboli e di rimorsi, e i rovi, vale a dire la tormentosa lussuria, tutto viene distrutto, perché all'interno e all'esterno viene riportata la pace. E la magnificenza della selva, cioè del lusso di questo mondo, e del Carmelo, che s'interpreta «molle», e cioè la dissolutezza carnale, vengono estirpate dall'anima fino alla carne, poiché tutto ciò che c'è d'immondo, sia nell'anima che nel corpo, viene consumato dal fuoco della contrizione.
    Fortunato colui che brucia e illumina con questa lampada, della quale dice Giobbe: «Lampada disprezzata nel pensiero dei ricchi, preparata per il tempo stabilito» (Gb 12,5). I pensieri dei ricchi di questo mondo sono: custodire le cose conquistate e sudare nel conquistarne altre; e perciò raramente o mai si trova in essi la vera contrizione; essi la disdegnano perché fissano l'animo nelle cose transitorie. Infatti mentre perseguono con tanto ardore il piacere delle cose temporali, dimenticano la vita dell'anima, che è la contrizione, e così vanno incontro alla morte.
    Dice la Storia Naturale che la caccia ai cervi si fa in questo modo. Due uomini partono, e uno di loro zufola e canta: allora il cervo segue il canto perché ne è attratto; intanto il secondo scocca la freccia, lo colpisce e lo uccide. Nello stesso modo viene data la caccia ai ricchi. I due cacciatori sono il mondo e il diavolo. Il mondo davanti al ricco zufola e canta, perché gli mostra e gli promette i piaceri e le ricchezze; e mentre quello stolto lo segue incantato, perché in quelle cose trova diletto, viene ucciso dal diavolo e portato nella cucina dell'inferno per esservi cotto e arrostito.
9. Ma ecco finalmente il tempo della quaresima, istituito dalla chiesa per espiare i peccati e salvare le anime: in esso è preparata la grazia della contrizione, che ora sta spiritualmente alla porta e bussa; se vorrai aprirle e accoglierla, cenerà con te e tu con lei (cf. Ap 3,20). E allora comincerai a suonare la tromba in modo meraviglioso.
    La tromba è la confessione del peccatore contrito. Di essa è detto nell'Esodo: «Tutto il monte Sinai fumava, perché su di esso era disceso il Signore nel fuoco, e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte metteva terrore. E un suono di tromba a poco a poco si faceva più forte e persistente» (Es 19,18-19).
    Queste parole descrivono come deve comportarsi il peccatore nella sua confessione. Il monte è così chiamato perché non si muove. Il monte Sinai, nome che s'interpreta «i miei denti», raffigura il penitente, forte e intrepido nel tempo della tentazione, che con i denti, cioè con i castighi che si infligge, lacera le sue carni, vale a dire le sue tendenze carnali. Egli fuma tutto per le lacrime che salgono dalla fornace della contrizione: e ciò proviene dalla discesa della grazia celeste.
    «E tutto il monte incuteva terrore», perché il penitente ha le lacrime e la mestizia nel volto, la povertà nelle vesti, il dolore nel cuore e i sospiri nella voce.
    «E il suono della tromba, cioè della confessione, a poco a poco si faceva più forte e insistente», ecc. Qui è indicato il modo di confessarsi. All'inizio della confessione deve incominciare dall'accusa di sé, come è passato dalla suggestione al piacere, dal piacere al consenso, dal consenso alla parola, dalla parola all'azione, dall'azione alla ripetizione del peccato, dalla ripetizione all'abitudine.
    Incominci prima dalla lussuria, da tutte le sue modalità e circostanze, secondo natura e contro natura. Poi dall'avarizia, usura, furto e rapina e da tutto il mal tolto, che è tenuto a restituire se ne ha la possibilità.
    Se poi è chierico incominci dalla simonia, e se ha ricevuto gli ordini mentre era scomunicato, o se li ha esercitati, o se nel riceverli ha commesso delle irregolarità. In fine potrà confessarsi di tutte le altre cose, come sembrerà meglio al penitente e al confessore.
10. Fatta la confessione, dev'essere imposta la penitenza (soddisfazione), che è indicata nella rottura della brocca o del vaso di terracotta. Il vaso viene spezzato, il corpo viene fatto soffrire; Madian, che s'interpreta «dal giudizio» o «iniquità», cioè il diavolo che dal giudizio di Dio è già condannato, viene sconfitto e la sua iniquità annientata.
    Ed è appunto ciò che dice Isaia: «Gli alti di statura», cioè i demoni, «saranno troncati», «e i potenti», cioè gli uomini superbi «saranno umiliati, e il folto della selva», cioè la dovizia della cose temporali, «sarà distrutta dal ferro» del timore di Dio; «e il Libano», cioè lo splendore del lusso mondano, «con i suoi alti cedri», cioè le nullità, le truffe e le apparenze, «tutto crollerà» (Is 10,33-34).
    Fa' attenzione che la soddisfazione, cioè la penitenza, consiste in tre cose: nell'orazione per ciò che riguarda Dio, nell'elemosina per ciò che riguarda il prossimo, e nel digiuno per ciò che riguarda noi stessi, affinché la carne, che nel piacere ha condotto al peccato, nell'espiazione e nella sofferenza conduca al perdono.
    Si degni di concedercelo colui che è benedetto nei secoli. Amen.