Sermoni Domenicali

DOMENICA XXIV DOPO PENTECOSTE

1. «In quel tempo: Mentre Gesù parlava alle turbe, gli si avvicinò uno dei capi che gli si prostrò dinanzi e gli disse: Signore, mia figlia è morta proprio ora» (Mt 9,18).
    Dice il profeta Amos: «Prepàrati all'incontro con il tuo Dio, o Israele. Ecco colui che forma i monti e crea il vento, e annunzia all'uomo la sua parola, che produce la nebbia del mattino e cammina sulle alture della terra: Signore, Dio degli eserciti è il suo nome» (Am 4,12-13). Fa' attenzione a queste cinque cose: i monti, il vento, la parola, la nebbia e le alture della terra.
    Senso allegorico. «O Israele», cioè o anima fedele che per mezzo della fede vedi Dio, «prepàrati all'incontro con il tuo Dio», perché è vicino il suo avvento, che si celebrerà nella prossima domenica. Forse domanderai: Questi chi è? «È colui che forma i monti», cioè gli spiriti angelici, che per la sublimità della loro gloria vengono detti monti. Infatti si legge nel Cantico dei Cantici: «Eccolo che viene, saltando per i monti e balzando per le colline» (Ct 2,8). Il Figlio di Dio, venendo con l'incarnazione, valicò i cori degli angeli, tanto maggiori che minori, e prevenne il suo messaggero.
    «Colui che crea il vento», cioè le anime, delle quali dice il salmo: «Volò sulle ali dei venti» (Sal 17,11), perché l'incomprensibilità di Gesù Cristo, come spiega qui la Glossa, supera tutte le potenze (capacità) delle anime, con le quali però le anime si innalzano, come con delle ali, al di sopra dei terreni timori nelle aure della libertà. Anche Giobbe dice: «Egli diede al vento il peso» (Gb 28,25); Dio diede alle anime il peso del corpo perché non si perdessero con la superbia, come fece il diavolo.
    «E annunzia all'uomo la sua parola». Creare vuol dire fare qualcosa dal nulla. Dio crea le anime dal nulla perché, come dice Agostino, «infondendo crea e creando infonde». Infatti nel salmo è detto: «Colui che plasmò ad uno ad uno i loro cuori» (Sal 32,15), cioè, spiega la Glossa, creò le anime ad una ad una, cioè ognuna per se stessa dal nulla, e non da Adamo come sostengono alcuni, credendo che l'anima provenga da un'altra anima. Colui dunque che creò le anime, egli stesso annunzia ad esse la sua parola, di cui l'anima vive, e di cui dice il salmo: «La tua parola è fortemente infiammata» (Sal 118,140). E la Glossa: Brucia la parola di Dio per purificare la coscienza del peccatore, per purificare i cuori come la fornace purifica l'oro, infiamma di amore di Dio e illumina coloro che l'ascoltano.
    «Che fa le nebbie del mattino e cammina sulle alture della terra». Dice la Glossa: La nebbia è una specie di spessore dell'aria, e simboleggia lo spessore della fede, che viene concepita al mattino cioè al momento del battesimo. Le alture della terra sono le virtù o anche i santi, posti alla sommità delle virtù. Dio però supera le virtù di tutti e cammina nei cuori dei suoi.
2. Su tutto questo abbiamo una concordanza nel secondo libro dei Re, dove il Signore dice a Davide: «Quando sentirai il suono [dei passi] di chi cammina sulla cima dei peri, (la cima coperta di piante di pero), lànciati subito all'attacco perché allora il Signore uscirà davanti a te per sconfiggere l'esercito dei Filistei» (2Re 5,24).
    Il nome del pero, in lat. pyrus, viene dal greco pyr, che significa fuoco. Il frutto di quest'albero sembra avere la forma del fuoco, perché parte da una base larga e poi verso l'alto va assottigliandosi come il fuoco. I frutti del pero sono perciò figura dei santi, ardenti del fuoco della carità, le cui opere partono dall'ampiezza della carità per finire poi nel restringimento dell'umiltà. Ad essi infatti il Signore dice: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili» (Lc 17,10).
    La cima dove si trovano questi peri raffigura l'elevatezza della vita: infatti cima, in lat. cacumen, suona come capitis acumen, cioè acutezza del capo. Il suono (dei passi) raffigura l'infusione della grazia di Gesù Cristo, che cammina nella vita perfetta dei santi. Quando questo suono viene sentito dal giusto, i filistei, cioè i moti della carne o dello spirito maligno, vengono sconfitti.
    Chi dunque è riuscito a fare tutte le cose suddette, ha potuto certamente liberare la donna dall'emorragia e risuscitare la figlia dell'archisinagogo. E quindi leggiamo nel vangelo di oggi: «Mentre Gesù parlava alle turbe…», ecc.
3. In questo vangelo sono posti in evidenza due miracoli: la guarigione della donna dall'emorragia, e la risurrezione della figlia dell'archisinagogo. Il primo dove dice: «Ecco che una donna». Il secondo: «Arrivato Gesù nella casa dell'archisinagogo».
    Oggi la messa non ha l'introito proprio. Si legge un brano della lettera del beato Paolo apostolo ai Colossesi: «Non cessiamo di pregare per voi» (Col 1,9), che divideremo in due parti e di cui vedremo la concordanza con le due parti del vangelo. Prima parte: «Non cessiamo di pregare per voi». Seconda parte: «Ringraziando con gioia il Padre».
    Nel vangelo di oggi Matteo parla della guarigione della donna che soffriva di emorragia e della risurrezione della fanciulla. Paolo nella sua lettera prega affinché abbiamo una piena conoscenza della volontà di Dio, la quale ferma il flusso del sangue, cioè del piacere carnale, e dice che siamo stati strappati dal potere delle tenebre, come la fanciulla è stata strappata dalle tenebre della morte. Ecco perché questa epistola viene letta insieme con questo vangelo.
4. «Mentre Gesù parlava alle turbe» (Mt 9,18). Considera che la morte della fanciulla e il flusso del sangue sono figura del peccato mortale, che si fa con il consenso della mente e con l'esecuzione dell'opera cattiva.
    Trattiamo prima della morte della fanciulla.
    «Giunse uno dei capi che gli si prostrò davanti e gli disse: Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà» (Mt 9,18).
    Marco e Luca dicono che l'archisinagogo si chiamava Giairo (cf. Mc 5,22; Lc 8,41). Giairo s'interpreta «illuminato» o «illuminante», ed è figura del cristiano, che dev'essere illuminato e illuminare a sua volta con quelle lampade di cui parla Sofonia: «In quel tempo perlustrerò Gerusalemme con lampade e farò giustizia degli uomini immersi nelle loro immondezze» (Sof 1,12).
    Considera che le lampade sono quattro. La prima è quella della parola di Dio: «La tua parola è lampada ai miei piedi e luce sui miei sentieri» (Sal 118,105). E fa' attenzione che dice prima «piedi» e poi «sentieri», perché quando ascoltiamo la parola di Dio, prima veniamo illuminati nel cuore, per poter poi camminare sul retto sentiero.
    La seconda lampada è quella delle buone opere: «Siano i vostri fianchi cinti e le lampade accese nelle vostre mani» (Lc 12,35). Teniamo in mano le lampade accese quando mostriamo al prossimo le opere buone.
    La terza lampada è quella della retta intenzione, che illumina tutte le opere buone; di essa parla Matteo: «La lampada del tuo corpo», cioè delle tue opere, «è il tuo occhio», cioè la tua intenzione. «Se il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà luminoso» (Mt 6,22).
    La quarta è quella dell'umanità di Cristo, della quale parla Luca: «Quale donna se ha dieci dramme e ne perde una» (Lc 15,8), ecc.
    Su questo vedi il sermone della III domenica dopo Pentecoste, III parte, dove è spiegato questo vangelo.
    Dice dunque il Signore: Nel momento del giudizio «perlustrerò Gerusalemme», esaminerò cioè ogni cristiano, «con lampade»: guarderò se ha emendato la sua vita secondo la parola ascoltata nella predicazione; se ha mostrato agli altri le luce delle opere buone; se ha agito con retta intenzione e se ha conformato la sua vita all'esempio di povertà e di umiltà di Cristo. E allora il Signore «farà giustizia degli uomini» che confidano nelle proprie forze, «immersi nelle loro immondezze», cioè ostinati nel loro peccato.
    Questo Giairo è chiamato capo della sinagoga, perché ogni cristiano dev'essere capo, cioè deve comandare al suo corpo, che è come una sinagoga. «Un mucchio di stoppa è la sinagoga dei peccatori e la loro fine è una fiammata di fuoco» (Eccli 21,10). I cinque sensi del corpo sono come un mucchio di stoppa, perché con facilità si infiammano al fuoco della concupiscenza, e quindi Giairo deve dominarli, per poter dire con il profeta Abacuc: «Starò di guardia, con piede fermo sulla fortezza: starò attento per sentire che cosa mi si dirà, e come dovrò rispondere a chi mi redarguisce» (Ab 2,1). Sta in guardia colui che custodisce il suo cuore con ogni diligenza; e ferma il piede sulla fortezza colui che reprime i sentimenti della carne con il fermo proposito di perseverare sino alla fine; e così starà attento per sentire che cosa gli sarà detto e che cosa potrà rispondere a chi lo redarguisce.
    È appunto ciò che dice Giobbe: «Esporrò davanti a lui la mia causa e riempirò la mia bocca di recriminazioni (lamenti), saprò così le parole con cui mi risponde e comprenderò quello che mi dice» (Gb 23,4-5). E Gregorio commenta così: Esporre davanti a Dio la propria causa significa aprire, nel segreto della mente, gli occhi della nostra attenzione e scrutare per mezzo della fede per poter comprendere il suo interrogatorio. Riempie la sua bocca di recriminazioni, o lamenti, perché mentre ascolta attentamente la discussione del giudice contro di sé, punisce se stesso imponendosi una dura penitenza. «Saprò così le sue parole»: quando perseguitiamo le nostre colpe castigandole, troviamo subito che cosa possa dire di esse il giudice giusto nella sua disamina; invece non lo sa colui che trascura i suoi mali.
    Se il capo della sinagoga agirà in questo modo, potrà con la fede accostarsi a Gesù e adorarlo con devozione, dicendo: «Signore, la mia figlia è morta proprio adesso». La figlia dell'archisinagogo morta in casa è figura dell'anima del cristiano, morta nella casa della coscienza, a motivo del consenso dato al peccato. Dice infatti Amos: «La vergine d'Israele è stata gettata per terra, e non c'è chi sia in grado di farla rialzare» (Am 5,2).
    Ricorda che c'è un duplice stato: quello della giustizia e quello della giustificazione; quello della giustizia, quando l'uomo, dopo che gli è stata infusa la grazia, non commette più alcun peccato mortale; quello della giustificazione, quando dopo essere caduto, si rialza. È vero che l'uomo dopo la caduta, anche se si rialza, non ha più la stessa gloria, cioè lo stesso stato di gloria, perché è impossibile che non abbia perduto lo stato precedente; tuttavia può conseguire anche una gloria maggiore se avrà una maggiore carità. La «vergine d'Israele» è figura dell'anima: è vergine per la fede, Israele per la speranza; e viene gettata per terra quando acconsente alla concupiscenza della sua misera carne.
    «Ma vieni, imponi la mano su di lei, ed essa vivrà». O buon Gesù, dov'è la tua mano, là è la nostra vita! «La mano del Signore era con me e mi fortificava» (Ez 3,14), dice Ezechiele. Fa' attenzione alle tre parole: vieni, imponi la mano, e vivrà. O Signore Gesù, «vieni» e sovvieni, infondendo la grazia, affinché la figlia, cioè l'anima mia, sia contrita; «imponi la mano», affinché si confessi: «Il Signore stese la sua mano e toccò la mia bocca» (Ger 1,9), affinché confessasse il peccato; «e così vivrà», della vita della grazia al presente, e della vita della gloria in futuro.
5. E su questo abbiamo la concordanza nel profeta Zaccaria, dove dice: «Alzai i miei occhi, ed ecco, vidi un uomo che aveva in mano una fune per misurare. Gli domandai: Dove vai? Rispose: Vado a misurare Gerusalemme per vedere qual è la sua lunghezza e quale la sua larghezza» (Zc 2,1-2). Vediamo il significato di queste sei cose: l'uomo, la sua mano, la fune, Gerusalemme, la sua lunghezza e la sua larghezza.
    L'uomo è Cristo, di cui dice Zaccaria: «Ecco un uomo il cui nome è Oriente» (Zc 6,12). Il suo nome è Gesù Cristo, cui corrisponde «uomo Oriente», Gesù Salvatore. Ecco l'uomo, in lat. vir, che con la sua potenza, in lat. virtus, ha salvato il suo popolo. Cristo viene da crisma. Ecco l'Oriente che ha illuminato tutti quelli che si trovavano nelle tenebre (cf. Lc 1,79). La mano di quest'uomo è la sua misericordia, della quale è detto: «Lo scongiuravano che gli imponesse la mano» (Mc 7,32).
    Su questo vedi anche il sermone della XII domenica dopo Pentecoste sul vangelo «Gesù, uscito dal territorio di Tiro, attraversò Sidone».
    La fune per misurare raffigura la confessione dei peccati. Dice infatti Salomone: «Una fune a tre capi non si rompe tanto facilmente» (Eccle 4,12). Osserva che nella confessione il peccatore deve compiere tre atti: pentirsi dei peccati commessi, avere un fermo proposito di non ricadervi, obbedire a tutto ciò che gli comanda il suo confessore. Se la nostra barca viene legata al legno della croce del Signore con questa fune, non potrà mai venir strappata. Questa fune sta nelle mani di Cristo, che dà la grazia della confessione a chi vuole, secondo la scelta della sua misericordia.
    Con questa corda egli misura Gerusalemme, cioè l'anima del penitente, per vedere, e per far vedere anche a lui, qual è la lunghezza, cioè la durata della perseveranza, e quale la larghezza, cioè l'ampiezza della duplice carità. Chi commette il peccato mortale offende Dio, danneggia se stesso e scandalizza il prossimo; quando però si pente e si confessa, con il proposito di perseverare sino alla fine, allora si riconcilia con Dio, risana se stesso ed edifica il prossimo. Questa è la lunghezza e la larghezza di Gerusalemme, che viene misurata con la fune della confessione, affinché la pena sia proporzionata alla colpa, e come ha posto le sue membra a servizio dell'iniquità, così ora le ponga a servizio della giustizia per la santificazione (cf. Rm 6,19).
    Vieni dunque, o UomoOriente, e con la fune che hai nelle mani misura Gerusalemme. Vieni, Signore Gesù, e imponi la tua mano sopra l'anima, ed essa vivrà della vita della grazia al presente, e della vita della gloria in futuro.
6. «Gesù, alzatosi, lo seguì insieme con i suoi discepoli» (Mt 9,19). O ineffabile misericordia! O meravigliosa umiltà! Il Re degli angeli che segue l'archisinagogo! Tu segui Giairo. E chi segue te, o Figlio di Dio? «Se ne sono andati dietro ai loro piaceri e alla depravazione del loro cuore malvagio» - dice Geremia -, e invece di rivolgermi il volto mi hanno voltato le spalle» (Ger 7,24). E Zaccaria: «Mi hanno voltato le spalle, si sono turati gli orecchi per non sentire, hanno indurito il loro cuore come il diamante per non udire la legge» (Zc 7,11-12).
    «Gesù, arrivato alla casa di quel capo, veduti i flautisti e la turba in agitazione, disse: Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Quelli si misero a deriderlo» (Mt 9,23-24). Vediamo il significato morale dei flautisti e della turba agitata. I flautisti raffigurano i sensi del corpo, che cantano un inno funebre con quei quattro corni, dei quali parla il profeta Zaccaria: «Alzai i miei occhi, ed ecco, vidi quattro corni. E all'angelo che parlava con me domandai: Che cosa sono questi? Rispose: Questi sono i corni che hanno disperso Giuda, Israele e Gerusalemme» (Zc 1,18-19). Questi quattro corni raffigurano quattro vizi: la superbia o la lussuria negli occhi, il prurito di ascoltare negli orecchi, la calunnia o l'adulazione nella lingua, e la rapina o l'usura nelle mani. Sono questi quattro vizi che hanno disperso al vento della vanità del mondo Giuda, cioè i laici, e Israele, cioè i chierici, e Gerusalemme, cioè i religiosi. Con questi corni i sensi del corpo cantano il canto funebre, cioè l'allegria del mondo, per la morte dell'anima nostra.
    Dice Giobbe: «Cantano al suono di timpani e cetre, si divertono al suono degli strumenti. Passano nei godimenti tutti i loro giorni, ma poi in un momento sprofondano nell'inferno» (Gb 21,12-13). Il timpano è formato da una pelle tesa su un bacino, su un cerchio di legno. Quando il superbo corruga le sopracciglia - di cui è detto: «C'è gente dagli occhi alteri e dalle ciglia altezzose» (Pro 30,13) -, oppure i lussuriosi allungano gli occhi alla bellezza delle donne - di cui è detto: «Non desiderare in cuor tuo la bellezza della donna per non essere adescato dai suoi sguardi» (Pro 6,25) -, allora percuotono il timpano. La lingua adulatrice o calunniatrice è paragonata alla cetra: quando ne pizzichi le corde, essa manda il suono della calunnia o dell'adulazione. Quelli che hanno gli orecchi bramosi e indiscreti, si deliziano al suono degli strumenti, cioè al suono della lode a loro rivolta. Guai a noi meschini, che ci deliziamo al suono dei nostri strumenti: al loro suono l'occhio si fa ridente, il volto si illumina, l'orecchio si delizia, la lingua tripudia e il cuore esulta.
    «Si divertono, dunque, al suono degli strumenti». Magari la nostra cetra mandasse lamenti - dice Giobbe -, e il nostro strumento mandasse voci di pianto (cf. Gb 30,31). I depredatori e gli usurai «passano i loro giorni nei godimenti» con i beni rubati ai poveri. Ecco in che modo i maledetti flautisti suonano l'inno funebre. Ma credano a me, che ad un certo punto (un istante), che li pungerà fino a dentro il fegato e i polmoni, sprofonderanno nell'inferno, dove si canta il lamento funebre, cioè il pianto degli occhi e lo stridore dei denti.
    Similmente, la turba in agitazione raffigura il turbamento e il disordine dei cattivi pensieri. Quando i flautisti suonano all'esterno il loro inno funebre, i pensieri disordinati sconvolgono la mente all'interno. Dice infatti la sposa nel Cantico dei Cantici: «La mia anima mi ha sconvolto a causa delle quadrighe di Aminadab» (Ct 6,11). Aminadab si interpreta «spontaneo» o «elegante», e simboleggia il nostro corpo che si sente spinto spontaneamente alle cose temporali, tra le quali vuole vivere sempre nell'eleganza e nelle delicatezze. E le quadrighe di Aminadab sono i sensi del corpo: mentre essi corrono all'intorno tra lo sterco e il fango delle cose temporali, l'anima, cioè l'animalità, la sensualità, sconvolge la ragione con il turbamento e il disordine dei cattivi pensieri e desideri.
7. Ritorniamo al nostro argomento. Continua il vangelo: «Arrivato Gesù nella casa del capo della sinagoga». Il capo raffigura l'uomo che deve dominare se stesso; la sua casa è la sua coscienza, in cui il Signore entra quando infonde la sua grazia perché riconosca le sue colpe e riconoscendole ne arrossisca.
    «Vedendo i flautisti e la turba, disse: Ritiratevi!». Quando Gesù Cristo visita la coscienza dell'uomo con la sua grazia, comanda al piacere dei sensi e al tumulto dei pensieri di ritirarsi. Egli comanda ai venti, cioè alla vanità dei sensi, e al mare, cioè al fluttuare dei pensieri e dei desideri, ed essi gli obbediscono (cf. Lc 8, 25). «Andatevene, dunque, la fanciulla non è morta, ma dorme». Infatti per Gesù era come se dormisse, perché per lui era così facile richiamarla dalla morte, come se la svegliasse dal sonno.
    Considera che la morte dell'anima è duplice: la morte del peccato e la morte dell'inferno. La morte del peccato può essere detta «sonno», in quanto il peccatore in questa vita può risorgere dal peccato con la stessa facilità con cui uno si sveglia dal sonno. Dice infatti l'Apostolo: «Svégliati, tu che dormi, dèstati dai morti, e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14): svégliati per mezzo della contrizione, tu che dormi nel peccato; esci, per mezzo della confessione, dai morti, cioè dalle opere di morte, e Cristo ti illuminerà. Osserva ancora che Cristo ha detto: fanciulla, e non vecchia. Infatti l'anima non ancora schiava di una cattiva abitudine presa da lungo tempo, ma ancora fanciulla e di recente caduta in peccato, è solo assopita, e può quindi con facilità risorgere alla vita della grazia. È morta infatti ed è stata risuscitata nella sua casa: non era ancora stata portata fuori della porta e sepolta; l'anima che è morta nella casa della coscienza e non ancora portata alla porta dell'opera cattiva, o alla sepoltura della cattiva abitudine, può con facilità ritornare in vita.
    «Quelli si misero a deriderlo». Quando la grazia di Gesù Cristo ispira all'anima di pentirsi e di rialzarsi dal peccato, i flautisti, vale a dire il piacere esteriore dei sensi, e la turba in agitazione, cioè il tumulto interiore dei pensieri e dei desideri, la deridono. Ma dice Giobbe: Lo struzzo «si fa beffe del cavallo e del suo cavaliere» (Gb 39,18). Nello struzzo è raffigurato il tirannico piacere della carne, che si fa beffe del cavallo, cioè dello spirito, e del suo cavaliere, vale a dire della grazia, che vuole guidare lo spirito sulla via della vita per conquistare il premio della gloria celeste. E lo deride adducendogli come scusa la fragilità della natura, il rigore dell'astinenza, la durezza della penitenza, e dimostrandogli che gli è impossibile perseverare in tutto questo.
    «Dopo che la turba fu cacciata via, entrò, le prese la mano e disse: Fanciulla, àlzati! E la fanciulla si alzò» (Mt 9,25; Lc 8,54). Fa' attenzione all'ordine delle parole. «Dopo che la turba fu cacciata via, entrò». Concorda con questo ciò che il Signore dice per bocca di Osea: «Arco, spada e guerra eliminerò dalla terra, e li farò riposare tranquilli» (Os 2,18). Nell'arco è indicata la subdola suggestione del diavolo, nella spada i convulsi pensieri del cuore, nella guerra il miserabile piacere dei sensi. Il Signore elimina dalla terra tutti questi mali quando caccia dalla casa della coscienza la turba agitata, e cacciatala via entra, ed entrando rimette tutto in pace. E questo vuol dire appunto «li farò riposare tranquilli».
    «Prese la sua mano». Prende la mano con la mano quando con la sua misericordia dà il volere, il conoscere e il potere. E concordano con questo le parole di Zaccaria: «Le mani di Zorobabele hanno fondato questa casa, e le sue mani la porteranno a compimento» (Zc 4,9). Zorobabel s'interpreta «questo maestro di Babilonia»: Zo questo, Ro maestro, Babel Babilonia. Ed è figura di Gesù Cristo che è venuto a rinnovare il mondo e a risuscitare la fanciulla. Il Figlio dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perduto (cf. Lc 19,10). La mano della sua misericordia fonda il tempio quando dà il conoscere e il volere; lo porta a compimento quando dà il potere, la capacità di fare.
    «E disse: Fanciulla, àlzati! E la fanciulla si alzò» (Lc 8,5455). E su questo abbiamo la concordanza nel libro del profeta Michea, dove l'anima, già risuscitata per opera della grazia, respinge gli attacchi della carne dicendo: «Non gioire, mia nemica, perché sono caduta; mi rialzerò, e se sarò nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce» (Mic 7,8).
8. Con questa prima parte del vangelo concorda la prima parte dell'epistola: «Non cessiamo di pregare per voi e chiedere che siate pieni della conoscenza della sua volontà» (Col 1,9). A questa preghiera e a questa supplica il Signore risponde misericordiosamente per bocca di Osea: «Ecco, io la nutrirò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,14). La chiesa, o l'anima fedele, per la quale l'Apostolo prega e supplica, il Signore la nutre con la grazia perché cresca a salvezza; la porta quindi nel deserto, cioè alla rinuncia delle cose temporali e alla quiete dello spirito, e lì parla al suo cuore affinché abbia la piena conoscenza della sua volontà.
    E fa' attenzione che l'Apostolo dice «pieni». Quando un vaso è pieno, tutto ciò che vi si versa in più va perduto. Chi è pieno delle cose temporali, non può venir riempito della conoscenza della volontà di Dio. Chi ne vuole essere pieno, è necessario che venga prima condotto nel deserto, e là potrà sentire il soffio di una brezza leggera che parla al suo cuore, così sarà riempito della conoscenza della divina volontà. Dice infatti il vangelo di oggi che il Signore prima mandò via la turba agitata, e dopo, nel silenzio, parlò al cuore della fanciulla: «Fanciulla, io ti dico: Álzati!» (Mc 5,41). La bocca del Signore è nell'orecchio del cuore, nel silenzio di chi è tranquillo: a lui rivela il segreto della sua volontà. Sia tranquillo il tuo cuore, e sarà riempito della conoscenza della volontà divina. Su chi volgerò lo sguardo, se non sull'umile, su chi è in pace ed è povero nello spirito? (cf. Is 66,2). «Ha guardato all'umiltà della sua ancella» (Lc 1,48), che era nel silenzio della mente e del corpo. Dice Girolamo: «Per me la città è un carcere, il deserto un paradiso», nel quale il Signore parla al cuore.
    Fratelli carissimi, insieme con Giairo, capo della sinagoga, supplichiamo umilmente il Signore di venire nella nostra casa, di cacciarne via la turba in agitazione e di risuscitare la nostra figlia (l'anima). Si degni di accordarcelo lui, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
9. «Ed ecco una donna che soffriva di emorragia da dodici anni», ecc. (Mt 9,20). Vediamo che cosa significhino la donna, l'emorragia e il lembo della veste.
    La donna, in lat. mulier da mollities, mollezza, effeminatezza, è figura dell'anima peccatrice, che per bocca del profeta Osea dice: «Seguirò i miei amanti che mi danno il mio pane, la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande» (Os 2,5). L'effeminato cerca l'effeminatezza. Vedremo che cosa significhino queste sette cose: gli amanti, il pane, l'acqua, la lana, il lino, l'olio e le bevande. Nel pane è raffigurato lo sfarzo della gloria temporale, nell'acqua la gola e la lussuria, nella lana la subdola ipocrisia, nel lino l'amore al denaro, nell'olio il luccichio della adulazione, nelle bevande la brama delle cariche.
    Gli amanti dell'anima peccatrice sono i demoni, o gli affetti carnali, che essa segue quando vi acconsente, e vi acconsente perché le danno tutte queste cose: il pane, l'acqua, l'olio, ecc.
    Del pane della gloria temporale parla Salomone: «Gradito è all'uomo il pane della menzogna», cioè dello sfarzo del secolo, che finge di essere qualcosa, mentre non è nulla, «ma poi la sua bocca sarà piena di sassi» (Pro 20,17), cioè dell'eterno castigo.
    Dell'acqua della gola e della lussuria il profeta Naum dice: «Le sue acque sono come le pozzanghere» (Na 2,8). Parla di Ninive, nome che significa «splendida» ed è figura della carne dell'uomo le cui acque, cioè la gola e la lussuria, sono come le pozzanghere che d'estate si prosciugano. Così quando arriverà la fiamma della morte, la gola e la lussuria della carne saranno del tutto disseccate.
    Della lana dell'ipocrisia troviamo nel vangelo: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore» (Mt 7,15).
    Vedi su questo argomento il sermone della domenica VIII dopo Pentecoste, che commenta il medesimo vangelo.
    Del lino dell'avarizia si parla nell'Esodo, quando narra che la grandine colpì e distrusse il lino (cf. Es 9,31). La grandine della divina condanna: «Andate, maledetti, al fuoco eterno» (Mt 25,41), colpirà e distruggerà il lino dell'avarizia e dell'usura.
    Dell'olio dell'adulazione leggiamo nel salmo: «L'olio del peccatore non profumerà il mio capo» (Sal 140,5).
    Delle bevande delle cariche e delle dignità si parla nell'Apocalisse quando dice che la donna assisa sopra la bestia scarlatta teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione (cf. Ap 17,3-4). Questa donna è figura della vanità del mondo, che è assisa sopra la bestia scarlatta, cioè il diavolo. Essa tiene in mano una coppa d'oro, cioè il bagliore del potere transitorio, pieno di abomini. La coscienza e le opere di coloro che sono abbagliati da questo splendore, testimoniano a noi e a loro stessi quali nefandezze e quale turpe prostituzione vi sia in ciò. Chi beve a quella coppa avrà sete di nuovo e si sentirà bruciare, e voglia il cielo che non debba bruciare in eterno insieme con il ricco epulone, che era avvolto nella porpora.
    Ahimè, ahimè, vedo che quasi tutti corrono con la bocca aperta e con la gola riarsa a bere alla coppa d'oro della prostituta. Dice Geremia: «Agile corridore che divora la strada. ònagro abituato al deserto, nel calore del suo estro aspira l'aria della sua brama» (Ger 2,23-24). E come il vento, anche se aspirato a bocca aperta, non spegne la sete, anzi l'aumenta, così la vanità del potere e delle dignità uccide talvolta proprio con la sete colui che ne beve.
    Chi è affetto da questi sei vizi è come la donna che soffre di emorragia. Evidentemente l'emorragia simboleggia l'immondezza del peccato. Dice Osea: «Sangue segue sangue» (Os 4,2), vale a dire: all'immondezza della mente segue l'immondezza del corpo. La loro lussuria, dice Ezechiele, è paragonabile alla furiosa libidine del cavallo (cf. Ez 23,20).
    «Soffriva di emorragia da dodici anni». Il numero dieci si riferisce ai dieci comandamenti dell'Antico Testamento, il numero due ai due precetti della carità del Nuovo. Quindi soffre di emorragia per dodici anni chi si macchia trasgredendo apertamente e per cattiveria i precetti dell'Antico e del Nuovo Testamento. Dice Osea: «Hanno fornicato senza mai smettere: hanno abbandonato il Signore senza osservare» (Os 4,10) i precetti dei due Testamenti.
    Luca dice anche che quella donna «aveva speso tutte le sue sostanze con i medici, e che nessuno era riuscito a guarirla» (Lc 8,43), «anzi - aggiunge Marco - era molto peggiorata» (Mc 5,26). I medici raffigurano gli affetti carnali, dei quali il salmo dice: «Compi forse prodigi per i morti? O potranno i medici risuscitarli perché ti cantino lodi?» (Sal 87,11). Gli affetti carnali non possono far risorgere l'anima dal peccato; al contrario la uccidono quando è risuscitata e la seppelliscono nell'inferno. Quanti indolenti ed effeminati consumano ogni loro sostanza con questi medici, sia dell'anima che del corpo, ma non hanno potuto essere guariti dalla malattia dell'anima, anzi sono peggiorati.
10. Leggiamo nel secondo libro dei Paralipomeni che «Asa si era ammalato e soffriva di un fortissimo dolore ai piedi. Neppure nella malattia egli si rivolse al Signore, ma si affidò piuttosto alla perizia dei medici. Egli si addormentò con i suoi padri e morì» (2Par 16,12-13). Asa s'interpreta «che si esalta», ed è figura del ricco di questo mondo che si esalta per le sue ricchezze e va in cerca di cose più grandi di lui (cf. Sal 130,1). Egli soffre di un fortissimo dolore ai piedi. L'anima ha due piedi sui quali si sostiene, che sono la speranza e il timore: il ricco è privo della forza di questi due piedi perché egli ripone ogni sua speranza nelle cose transitorie che ha paura di perdere, e così si affida all'arte medica, cioè alla sua attività, al suo scaltro sapere e al godimento degli affetti carnali, piuttosto che al Signore. Perciò si addormenta nel peccato e muore nell'inferno.
    Non si deve quindi confidare nei medici, ma nel lembo della sua veste, come dice il vangelo: «Gli si accostò alle spalle e toccò il lembo della sua veste» (Mt 9,20). La veste di Cristo è la stessa sua carne, di cui Isaia dice: «Perché è rossa la tua veste, e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio? Nel torchio ho pigiato da solo» (Is 63,2-3). Un pensiero analogo lo troviamo anche in Zaccaria: «Giosuè era rivestito di vesti immonde» (Zc 3,3). Gesù Cristo sopportò da solo il torchio, cioè il peso della croce, sulla quale la sua veste (il suo corpo) fu arrossata dal suo sangue. E il lembo di questa veste è la sua stessa passione, che libera l'anima dall'emorragia. Contro i pericoli della carne e i moti della libidine ha una grandissima efficacia il ricordo della passione. E benché questo unguento salutare scenda dal capo alla barba, tuttavia è dal lembo della sua veste, cioè dall'ultima parte della sua vita che la sua pienezza si sparge su tutta la terra.
    Di questo lembo della veste parla anche Zaccaria: «Uomini di ogni lingua afferreranno il lembo della veste di un giudeo e gli diranno: Veniamo con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi» (Zc 8,23). La stessa cosa diceva anche quella donna dentro di sé: «Solo che io possa toccare il lembo della sua veste, sarò guarita» (Mt 9,21).
    Il lembo della veste di Cristo, cioè la sua passione, attira a Cristo stesso molti di più che tutto il resto della sua vita. Infatti ha detto egli stesso: «Quando sarò elevato da terra, io attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
    O anima, se vuoi essere guarita dalla tua emorragia, tocca con la fede, afferra con le opere il lembo della passione. Dice l'Apostolo: «Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal 5,24). Se avrai toccato e afferrato in questo modo, sarai degna di sentirti dire: «Confida, figlia, la tua fede ti ha guarita» (Mt 9,22). Fa' attenzione che questa parola fede è composta da due parole: faccio e dico (in lat. fides, facio et dico). Se io faccio quello che dico, e afferro ciò che tocco, allora è vera fede, e questa fede mi salva.
11. Con questa seconda parte del vangelo concorda anche la seconda parte dell'epistola: «Ringraziando con gioia il Padre che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12).
    O Padre, quanto devono ringraziarti la figlia del capo della sinagoga risuscitata da morte e la donna guarita dalla sua emorragia; e quanto devono ringraziarti tutti coloro che sono raffigurati in queste due donne: tu li hai fatti degni di partecipare alla vita eterna, che è la sorte dei santi. «Il Signore è mia parte di eredità» (Sal 15,5). «E in questa tua luce, noi vedremo la luce» (Sal 35,10).
    «È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13). Ecco la risurrezione della figlia dell'archisinagogo, cioè dell'anima, che il Signore con la mano della sua misericordia strappa dal potere delle tenebre, dove giaceva cieca, e la trasferisce dalla regione della dissomiglianza nel regno del suo amore, che abbiamo conquistato per mezzo della passione del Figlio. E conclude: «In lui abbiamo la redenzione e, per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati» (Col 1,14). Ecco la guarigione della donna dalla sua emorragia, toccando il lembo della veste. Infatti il sangue della passione di Cristo ferma il sangue della nostra malizia.
    Su dunque, fratelli carissimi, preghiamo devotamente il Signore Gesù Cristo perché con il lembo della sua passione fermi il nostro sangue, cioè l'inclinazione alla lussuria, per essere capaci di ringraziarlo adeguatamente ed essere fatti degni di regnare nella sua luce insieme con i suoi santi. Ce lo conceda egli stesso che è mirabile nei suoi prodigi, ed è Dio benedetto nei secoli eterni. E ogni anima risuscitata e guarita risponda: Amen. Alleluia!