Sermoni Domenicali

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE

1. In quel tempo: «I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi» (Mt 22,15).
    Dice Osea: «Nella tua gola ci sia una tromba, come aquila sopra la casa del Signore, perché hanno trasgredito la mia alleanza e hanno rigettato la mia legge» (Os 8,1). Vedremo il significato di queste quattro cose: la gola, la tromba, l'aquila e la casa.
    Considera che la tromba, come è scritto nel libro dei Numeri, si suonava per radunare il popolo in tre circostanze: per la guerra, per un solenne banchetto e per le grandi feste (cf. Nm 10,9-10). La tromba è figura della predicazione. Dice il profeta Amos: Se risuona la tromba nella città, chi non si spaventerà? (cf. Am 3,6). È segno di grande pervicacia, quando il popolo sente la tromba della predicazione che minaccia la morte eterna, e non si spaventa. Fanno come la vipera sorda: tengono un orecchio pressato contro le cose terrene, e si turano l'altro con la coda della concupiscenza carnale, per non sentire la voce della tromba del mirabile incantatore (cf. Sal 57,56).
    Parlando di costoro, il profeta Michea dice ai predicatori: «Non andate a fare i vostri annunci a Get; non implorate con le lacrime; cospargetevi di polvere nella casa della polvere» (Mic 1,10). Get s'interpreta «torchio», ed è figura dei superbi e degli avari di questo mondo, i quali come torchi schiacciano e spogliano i poveri e gli indigenti. Ad essi, sempre il profeta Michea dice: «Siete voi che strappate loro di dosso la pelle con violenza e la carne dalle loro ossa. Essi si mangiano la carne del mio popolo, gli scorticano la pelle e ne spezzano le ossa» (Mic 3,2-3). A costoro non dobbiamo né dare annunzi con la tromba della predicazione, né rivolgere suppliche con lacrime: infatti né la tromba è in grado di spezzare la durezza del loro cuore, né le lacrime di spegnere il fuoco della loro avarizia. E ancora lo stesso profeta: «Nella casa dell'empio c'è ancora il fuoco: i tesori accumulati con l'ingiustizia e con la misura falsa, ripiena d'ira. Potrò io giustificare le false bilance o il sacchetto dei pesi falsi?» (Mic 6,10-11). Certamente no! E in questo è denunciato l'imbroglio dell'avaro che compera con una misura e vende usandone un'altra.
    «Nella casa della polvere», cioè del penitente povero e contrito di cuore, che si riconosce polvere; «cospargetevi di polvere», o predicatori, cioè date anche voi l'esempio della vostra umiltà perché, come dice il Signore, «i poveri vengono evangelizzati» (Mt 11,5), non i ricchi, gli umili, non i superbi. Una superficie rigonfia fa scorrere via ciò che vi si versa: la superbia rifiuta insegnamenti e consigli.
    La tromba dunque è figura della predicazione che chiama alla guerra contro i vizi. Dice in proposito il profeta Gioele: «Io, il Signore, ho parlato. Proclamate questo tra le genti: chiamate alla guerra santa, incitate i prodi, accorrano tutti i guerrieri. Con i vostri aratri costruite delle spade, e delle lance con le vostre falci. Anche chi è debole dica: io sono un prode guerriero!» (Gl 3,8-10).
    Quando il Signore, con l'ispirazione interiore, parla nei predicatori, allora essi proclamano tra le genti, cioè a quelli che vivono da pagani: Chiamate alla guerra santa, ecc. Va alla guerra santa colui che dapprima si libera dai vizi e poi si impegna in battaglia «contro le potenze del male, a favore di quelle del cielo» (Ef 6,12). Infatti chi si dissocia da una parte, si associa all'altra.
    Incita i prodi colui che ha il fermo proposito di non ricadere. Accorrono i guerrieri quando i cinque sensi del corpo, che prima erano come femmine che rendevano effeminata l'anima, accorrono adesso come valorosi guerrieri dai costumi casti e castigati, essi che prima erano soliti tuffarsi nella profondità dei vizi. Trasformano gli aratri in spade e le falci in lance coloro che trasformano la loro lingua calunniatrice, che come aratro era solita solcare la vita degli altri, nella spada della confessione e dell'accusa di sé, e le falci delle preoccupazioni terrene e dell'amor proprio nelle lance della carità; e così chi era debole ed effeminato può dire: Anch'io sono valoroso, sono capace di andare all'attacco e di impegnarmi in battaglia nel giorno del Signore.
2. La tromba della predicazione convoca anche al banchetto della penitenza, di cui il Signore, per bocca di Gioele, dice: «Non temete, o animali della regione, perché i pascoli del deserto hanno germogliato, perché gli alberi producono frutti, la vite e il fico danno il loro vigore. Esultate e rallegratevi nel Signore vostro Dio, figli di Sion, perché vi ha dato il maestro della giustizia, e vi manderà la pioggia del mattino e quella della sera come in passato. Le vostre aie si riempiranno di frumento, traboccheranno di vino e di olio i vostri torchi; e vi risarcirò degli anni resi sterili dalle locuste, dai bruchi, dalla ruggine e dalle rughe (Gl 2,22-25). Gli animali della regione sono i peccatori convertiti, i quali dalla lontana regione della dissomiglianza [dove hanno perduto la somiglianza con Dio], si sono rivolti alla misericordia di Dio Padre, e di essi dice il salmo: «I tuoi animali abiteranno in essa» (Sal 67,11), cioè nella santa chiesa, che è invece la regione della somiglianza [con Dio].
    A costoro, perché non si disperino per la gravità dei loro peccati, è detto: «Non temete, perché i pascoli del deserto hanno germogliato». Deserto vuol dire abbandonato, disertato, perché in esso non si semina, ed è figura della penitenza che oggi viene praticata solo da qualche raro e coraggioso abitante. Quindi i pascoli del deserto sono gli uomini di penitenza, che germogliano nella contrizione. Infatti come il germe segna l'inizio del fiore, così essi ricominciano sempre e si rinnovano di giorno in giorno. Non temete, dunque, animali del deserto, perché anche voi diverrete rigogliosi come quei pascoli.
    «L'albero ha dato suo frutto, il fico e la vite hanno prodotto il loro vigore». Fa' attenzione a queste tre piante: l'albero, il fico e la vite. Nell'uomo ci sono tre organi, dai quali proviene tutto ciò che si compie nel suo interno e all'esterno: il cuore, la lingua e la mano.
    Il cuore del penitente è come l'albero che produce il frutto della contrizione, del quale Isaia dice: «Questo è tutto il frutto, che venga rimosso il suo peccato» (Is 27,9). La contrizione è chiamata «tutto il frutto», perché rimuove ogni peccato, purché però ci sia anche il fermo proposito di confessarsi. Infatti Isaia subito soggiunge: «Quando ridurrà tutte le pietre dell'altare come le pietre che si polverizzano per la cenere [per la calce] e non ci saranno più boschetti sacri né templi profani» (Is 27,9). Altare è come dire alta ara, e l'ara deve il suo nome al fatto che sopra vi si brucia (lat. areo) la vittima.
    L'altare raffigura la superbia, la lussuria e l'avarizia, vizi che cercano quelle altezze terrene nelle quali brucia l'anima sventurata. Questo è l'altare di Baal, nome che significa «superiore» e «divoratore», e che bene si accorda con l'etimologia di altare. Quindi le pietre dell'altare sono i peccati di superbia, di lussuria e di avarizia, che il penitente deve deporre dinanzi al sacerdote, come pietre ridotte in cenere, in modo cioè da confessare tutto distintamente e dettagliatamente, sia il peccato che le sue circostanze; e così non ci saranno più boschetti sacri, cioè cattive immaginazioni, né templi profani, cioè compiacenze peccaminose. Ecco dunque che l'albero ha dato il suo frutto.
    «Il fico e la vite hanno prodotto il loro vigore». Il fico, così chiamato da fecondità, è figura della lingua che è feconda di parole. Attorno a questo fico dobbiamo mettere del letame (cf. Lc 13,8), cioè la confessione dei peccati, perché sia in grado di produrre il suo vigore, appunto la confessione. La vite è figura della mano che allarga le dita come dei tralci. Le dita, in lat. digiti, sono chiamate così perché sono dieci, o anche perché sono opportunamente (decenter) riunite insieme1. Il penitente stenda dunque la mano dell'azione ai precetti del decàlogo, che sono ben legati tra loro. Infatti nella prima tavola stavano scritti i precetti riguardanti l'amore verso Dio; nella seconda quelli riguardanti l'amore verso il prossimo. E quando sono tutti uniti nell'osservanza, si vede che concordano e si completano tra loro.
    Perciò o penitenti, voi che siete i figli di Sion, cioè della chiesa, esultate nel vostro cuore e rallegratevi con le opere nel Signore vostro Dio e non in altre cose, perché egli vi ha dato un maestro di giustizia, cioè lo Spirito della grazia, che vi insegna a fare giustizia di voi stessi, e fa scendere su di voi la pioggia al mattino e alla sera. E qui la Glossa commenta: La pioggia del mattino è la fede, quella della sera è il compimento delle opere. Oppure: la pioggia del mattino è la conoscenza di Dio, che viene data dopo la fede; la pioggia della sera è la pienezza della sua conoscenza.
    «E le aie si riempiranno di frumento». Per aie si intendono le menti, dove avviene la separazione della paglia, cioè dei vizi, e così abbonda il frumento delle opere buone, e per la «spremitura» che devono subire, abbondano dell'olio della misericordia e del vino della consolazione.
    «E vi risarcirò degli anni resi sterili dalle locuste, dai bruchi, dalla ruggine e dalle rughe». La locusta deve il suo nome al fatto di avere le zampe lunghe come un'asta (lat. locusta, longa asta). Il bruco è così chiamato perché è quasi tutto bocca. La ruggine è una malattia che distrugge le messi. La ruga, così chiamata da rosicchiare, è il verme che rosicchia le foglie, e se cammina sulla pelle provoca prurito. Nella locusta è simboleggiata la superbia, nel bruco la gola, nella ruggine l'ira e l'invidia e nella ruga la lussuria. Sono questi quattro vizi che divorano le nostre opere buone. Ma quando noi torniamo alla penitenza, il Signore ci restituisce gli anni perduti, vale a dire l'abbondanza delle opere buone, perché le opere che erano state fatte nella carità (in stato di grazia) e poi distrutte dal successivo peccato, riviviscono con la confessione e con la penitenza, al cui banchetto la tromba ci chiama.
3. Parimenti la tromba chiama alla festa della gloria. Dice infatti il profeta Naum: «Ecco sopra i monti i piedi di un messaggero, di un araldo di pace. Celebra le tue feste, Giuda, e sciogli al Signore i tuoi voti, perché Belial non continuerà più ad attraversare le tue terre: è distrutto completamente» (Na 1,15). Colui che annuncia la festa della gloria celeste, annunzia la vera pace; e chi la predica, lo fa non nella valle dei piaceri terreni nella quale vanno ad accumularsi le sozzerie, ma sopra i monti di una vita perfetta, perché lì si posarono i piedi del Signore.
    «Celebra, Giuda, le tue feste». Giuda s'interpreta «che confessa», ed è figura del penitente che, celebrato quaggiù il banchetto della penitenza, passa a celebrare la festa della gloria celeste, nella quale scioglie nella sicurezza i suoi voti al Signore, cantando con gli angeli, senza più temere che Belial, cioè gli stimoli della carne o la tentazione del demonio (cf. 2Cor 12,7) lo tormentino ulteriormente, perché ormai i nemici sono totalmente distrutti. Dice infatti Gioele: «Gerusalemme sarà sacra, e gli estranei non passeranno più per essa» (Gl 3,17). E la Glossa: Dopo il giorno del giudizio Gerusalemme, formata dagli angeli e dagli uomini, sarà senza alcuna contaminazione, che prima aveva contratto a motivo della mescolanza con i cattivi. E l'estraneo, cioè il diavolo, oppure qualche pensiero malvagio, non troverà più la via per insinuarsi nei giusti, che saranno avvolti nella pace di Dio.
    Diciamo dunque: «Nella tua gola ci sia una tromba». O predicatore, la tromba della predicazione sia nella tua gola, cioè nella tua mente e non solo nella tua bocca, perché tu possa essere come l'aquila sopra la casa del Signore, cioè sopra la santa chiesa o sopra l'anima fedele.
    E sull'argomento dell'aquila vedi il sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, parte I, sul vangelo «Gesù stava andando verso Gerusalemme».
    «Perché hanno violato la mia alleanza e hanno trasgredito la mia legge». Per questo il predicatore deve avere la tromba nella gola e salire come un'aquila sopra la casa del Signore: perché i peccatori hanno violato il patto che avevano concluso con il Signore nel battesimo, e hanno trasgredito i comandamenti della legge e della grazia, divenendo così peggiori dei farisei che hanno violato solo il precetto della legge, nella quale è detto: Non tenterai il Signore, Dio tuo (cf. Dt 6,16); e l'hanno violato quando, radunatisi in consiglio, hanno progettato di tendere un tranello al Signore della legge, come è detto appunto nel vangelo di oggi: «I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per cogliere in fallo Gesù».
4. Fa' attenzione, che in questo vangelo sono evidenziate due cose: l'insidiosa malizia dei farisei e la sapienza di Gesù Cristo. La prima quando dice: «I farisei, ritiratisi». La seconda: «Gesù, conoscendo la loro malizia».
    In questa domenica e nella prossima si leggono dei brani presi dai dodici profeti minori, e nell'introito della messa di oggi si canta: «Applaudite, popoli tutti» (Sal 46,2). Si legge quindi la lettera del beato Paolo apostolo ai Filippesi: «Siate miei imitatori» (Fil 3,17), che divideremo in due parti, constatandone la concordanza con le due suddette parti del vangelo. Prima parte: «Siate miei imitatori»; seconda parte: «La nostra patria è nel cielo».
    Questa epistola si legge insieme con questo vangelo perché nel vangelo Matteo parla dei farisei e degli erodiani, - nome quest'ultimo, che s'interpreta «gloria della pelle» -, nonché della moneta contrassegnata dall'effigie di Cesare, e l'Apostolo nella sua lettera parla dei nemici della croce di Cristo, la cui gloria sarà la loro rovina, e del nostro corpo che sarà glorificato nella luce del sommo Re.
5. «I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di cogliere in fallo Gesù nelle sue parole». Farisei s'interpreta «separati», e sono figura dei prelati della chiesa, superbi e carnali, dei quali Osea dice: «È separato il loro convito, si sono dati alla più sfrenata fornicazione» (Os 4,18).
    Il convito dei santi consiste nel piangere non solo i propri peccati ma anche quelli degli altri, aspirare alle cose eterne e gustare la dolcezza del gaudio interiore. Da questo convito dei santi è separato il convito dei farisei, i quali si sono dati alla fornicazione. Infatti di essi il Signore, sempre per bocca di Osea, dice: «Nella casa di Israele ho visto una cosa orribile: lì si è prostituito Efraim e si è contaminato Israele. Ma anche tu, Giuda, preparati alla mietitura, quando ricondurrò dalla prigionia il mio popolo» (Os 6,10-11). Nella casa d'Israele, cioè nella chiesa, ho visto una cosa orribile, cioè le fornicazioni di Efraim - nome che s'interpreta «fruttificazione» - cioè dei religiosi, che dovrebbero fruttificare, e invece a causa dell'avarizia e di altri vizi cadono nell'idolatria. E Israele, cioè il prelato, si è contaminato appunto di vizi.
    Continua Osea: «Ho ripudiato il tuo vitello, Samaria; si è acceso il mio sdegno contro di loro, fino a quando non si potranno purificare. Anche quel vitello fu opera di Israele» (Os 8,5-6). Samaria è figura della chiesa, e il suo vitello, cioè il prelato, sensuale e sfrontato, che avanza pettoruto e a testa alta, è stato ripudiato dal Signore. Di lui dice ancora Osea: «Come giovenca invereconda ha deviato Israele» (Os 4,16). E perciò, come dice Geremia: «Giovenca snella e graziosa è l'Egitto: ma un tafano», cioè il pungolo dell'avarizia e della lussuria, «le verrà da settentrione» (Ger 46,20), cioè dal diavolo.
    Perciò contro questi prelati divampa non solo lo sdegno del Signore, ma anche la sua collera. Fino a quando aspetterà a correggersi il popolo dalla sua sfrontatezza, dalla sua lussuria e simili? Come dicesse: Il popolo non è capace di correggersi da tutti questi vizi «perché anch'esso viene da Israele», vede cioè questi vizi nei suoi prelati. Israele dunque è contaminato.
    Ma anche tu, o Giuda, cioè semplice popolo dei laici, sebbene i religiosi e i prelati siano viziosi, prepàrati alla mietitura, cioè mettiti a compiere opere buone, non guardare ad essi: perché io cambierò la loro schiavitù, cioè la loro ostinazione nel peccato, come il torrente sotto il soffio del libeccio, vale a dire con la grazia dello Spirito Santo.
    E di questi farisei dice ancora Osea: «Il loro cuore è diviso (falso), e presto andranno in rovina; Dio stesso frantumerà i loro idoli e distruggerà i loro altari» (Os 10,2). Chi ha il cuore diviso (falso) si avvia alla distruzione. Si legge infatti nel terzo libro dei Re che Geroboamo, nome che s'interpreta «divisione», fu colpito e andò in rovina lui e tutta la sua casa, fino all'ultimo maschio (cf. 3Re 14,10). Lo stesso Signore onnipotente frantumerà gli idoli dei farisei, cioè l'ipocrisia e la presunzione, e distruggerà gli altari, cioè il lusso e le ricchezze e la sfrontatezza della carne: tutti vizi con i quali offrono sacrifici al diavolo.
    È proprio di questi che il vangelo dice: «I farisei, ritiratisi». Dove si ritirano? La moglie adultera dice: «Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande» (Os 2,5). La moglie adultera è figura dell'anima adultera spiritualmente, che segue i suoi amanti quando obbedisce ai sensi del corpo. Nel pane sono indicati i piaceri e la prosperità terrena. Dice Giobbe: «Ripugnante gli diventa il pane in quella sua vita» (Gb 33,20). Nell'acqua è simboleggiata la lussuria; e sempre Giobbe dice: «Dorme sotto dense fronde, nel folto dei canneti e in luoghi paludosi» (Gb 40,16). Nella lana è raffigurata la purezza esteriore, e nel Levitico è detto che il biancore della pelle è segno di lebbra (cf. Lv 13,3). Nel lino è indicata l'abilità di imbrogliare, della quale dice Isaia: «Saranno confusi i lavoratori del lino; coloro che cardano e tessono stoffe sottili» (Is 19,9); infatti si chiama lino (linum) perché è leggero (lenis) e soffice. E nell'olio è raffigurata l'adulazione, per cui è detto: «L'olio del peccatore non ungerà il mio capo» (Sal 140,5), cioè la mia mente; come dire: il mio capo non si gonfi di falsa adulazione. Ecco dove si sono ritirati i farisei.
6. Ritiratisi, dunque, «i farisei tennero consiglio». Dice Isaia: «Guai a voi, figli ribelli - oracolo del Signore -, che tenete consiglio, ma non siete guidati da me, e ordite una tela, ma non per mia ispirazione, per aggiungere peccato a peccato. Siete partiti per scendere in Egitto senza consultarmi, sperando l'aiuto dalla potenza del faraone e cercando riparo all'ombra dell'Egitto. La potenza del faraone sarà la vostra vergogna, e il riparo all'ombra dell'Egitto la vostra ignominia» (Is 30,1-3). I figli ribelli sono coloro dei quali parla Osea: «Efraim si è dato alla fornicazione», questi sono i laici; «Israele si è contaminato», questi sono i religiosi; «non si danno pensiero di ritornare al loro Dio, perché lo spirito di fornicazione è in mezzo a loro e non riconoscono più il Signore» (Os 5,3-4).
    «Tenete consiglio, ma non siete guidati da me». E sempre il Signore, per bocca di Osea: «Essi hanno regnato, ma non guidati da me; divennero prìncipi, ma io non li conosco» (Os 8,4).
    «Ordite una tela». Osea: «Il vitello di Samaria sarà come una tela di ragno: e poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta» (Os 8,6-7). Come la tela di ragno viene strappata e dispersa dal vento, così il vitello, cioè la sfrontatezza dei chierici, sarà ridotta al nulla. Come il vento produce il turbine sollevando la polvere, così l'amore delle cose di questo mondo, che è come il vento, produce e porta al turbine dell'eterna dannazione.
    «Ma non per mia ispirazione». Dice Isaia: «Essi lo provocarono all'ira e contristarono il suo Santo Spirito: egli perciò divenne loro nemico» (Is 63,10). E Michea: «Si è forse ridotto lo Spirito del Signore, o sono questi i suoi pensieri? Non sono forse benefiche le mie parole con colui che cammina con rettitudine? Ma al contrario, il mio popolo è insorto come un nemico» (Mic 2,7-8). Lo Spirito del Signore «si riduce» quando il peccatore viene privato della grazia; invece con i penitenti è largo, quando in essi appunto la grazia viene infusa.
    «Per aggiungere peccato a peccato». Dice ancora Osea: «Non c'è verità, non c'è misericordia, non c'è conoscenza del Signore sulla terra. La bestemmia, la menzogna, l'omicidio, il furto e l'adulterio l'hanno inondata e si versa sangue su sangue» (Os 4,1-2). Aggiungono peccato a peccato, peccati nuovi ai peccati antichi. Come gli argini trattengono il fiume perché non inondi, così il timore di Dio e il riguardo del mondo sono come due argini che dovrebbero frenare l'inondazione dei peccati. Ma questo nei chierici non si è avverato per nulla, perché davanti ai loro occhi non c'è timor di Dio (cf. Sal 35,2), e sono divenuti sfrontati come una prostituta: non sono più capaci di vergogna (cf. Ger 3,3).
    «Siete partiti per scendere in Egitto», cioè per praticare l'avarizia del mondo, della quale dice Amos: «Colpisci il cardine e siano scossi gli architravi: perché tutti sono dominati dall'avarizia» (Am 9,1). Nel cardine, sul quale gira la porta, è simboleggiato il potere delle chiavi, che i prelati hanno, perché possono escludere o ammettere alla chiesa. Negli architravi è indicata la sublimità della dignità sacerdotale, che purtroppo viene distrutta dal fuoco della cupidigia e della superbia.
    «E non mi avete consultato». Sempre Amos: «Il Signore Dio non dice una parola senza aver prima rivelato il suo consiglio ai suoi servi, i profeti» (Am 3,7).
    «Avete sperato l'aiuto dalla potenza del faraone», cioè dai sensi del corpo. Al contrario, leggiamo in Geremia: «Non si vanti il sapiente della sua sapienza, né il forte della sua fortezza, né il ricco delle sue ricchezze. Colui che vuole gloriarsi si vanti di questo: di aver senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla terra. Di queste cose mi compiaccio, dice il Signore» (Ger 9,23-24).
    «E avete cercato riparo all'ombra dell'Egitto», cioè del potere terreno, che è appunto come ombra che passa.
7. E su tutto questo abbiamo la concordanza nel profeta Giona, dove si racconta che «il Signore fece crescere l'edera», o una pianta di zucca. Nel testo ebraico c'è il termine cicion, che sta per zucca, che fa presto a crescere e presto a seccarsi.
    «Questa pianta crebbe velocemente al di sopra di Giona per fare ombra alla sua testa e proteggerlo: infatti stava poco bene. Giona provò grande gioia per quella pianta. Ma il giorno dopo, allo spuntar del sole, il Signore mandò un verme a rodere quella pianta, che si seccò. E quando il sole fu alto, Dio fece soffiare un vento afoso dall'oriente. Il sole colpì la testa di Giona che si sentì bruciare, tanto che invocò la morte» (Gio 4,6-8).
    In quella pianta di zucca è simboleggiata la dignità mondana, il cui frutto, finché è nel suo rigoglio, è commestibile, ma poi è come un legno secco. Così è per il peccato: dapprima procura il piacere, ma quando il piacere è svanito, resta la colpa e la macchia nell'anima, e se non si ricorre subito al pentimento si rischia la morte eterna. Ma allo spuntar del sole, cioè al giungere della grazia, questa pianta si secca, perché quando il dente del verme della coscienza morde e rode, tutta la gloria del mondo viene abbattuta, si vede cioè che non vale più niente. E questo «il giorno dopo», cioè dopo quel giorno di cui parla Giobbe: «Maledetto il giorno in cui sono nato» (Gb 3,3). E allora il sole, cioè l'amore di Dio, colpisce sulla testa, cioè nella mente, non solo illuminando ma anche ferendo, per indurre al pentimento; e così invoca la morte della sua animalità (sensualità).
    Su questo argomento puoi vedere anche il sermone della domenica di Settuagesima, II parte, sul vangelo: «In principio Dio creò il cielo e la terra».
    «La potenza del faraone sarà la vostra vergogna, e il riparo all'ombra dell'Egitto la vostra ignominia». E anche Osea: «Efraim ha visto la sua debolezza, e Giuda la sua incapacità. Ed Efraim ricorse ad Assur e Giuda chiamò un re in sua difesa; ma essi non potranno salvarvi né liberarvi dai vostri mali» (Os 5,13). E ciò che dice anche Isaia: «Vano e inutile sarà l'intervento dell'Egitto» (Is 30,7). Non certo Assur, vale a dire il diavolo, né l'Egitto, cioè il mondo, possono eliminare la fragilità o la debolezza nell'uomo. E quindi Giobbe: «Gli occhi dei malvagi languiranno e ogni scampo per essi è precluso» (Gb 11,20).
    Non case e campagne, non un mucchio di denaro o di oro, scacciò la febbre dal corpo malato del padrone (Orazio).
8. «Per cogliere in fallo Gesù nelle parole». Così oggi i farisei tentano di cogliere in fallo Gesù che predica al popolo. Fanno infatti come fece Amasia, del quale è detto nel libro del profeta Amos: «Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire al re d'Israele Geroboamo: Amos congiura contro di te in mezzo al popolo d'Israele; la gente non potrà sopportare tutte le sue parole poiché egli dice: Geroboamo morirà di spada e Israele sarà portato in esilio lontano dalla sua terra. Allora Amasia rispose ad Amos: Vattene, o veggente, fuggi nella terra di Giuda e mangia lì il tuo pane e lì potrai profetare» (Am 7,10-12). I farisei del nostro tempo dicono la stessa cosa ai predicatori, quando essi li riprendono per la loro malizia, e per di più fanno pervenire al superiore delle lagnanze contro di essi. Chi ascolta, intenda, e chi vuol capire capisca.
    «Gli mandarono i propri discepoli, con gli erodiani» (Mt 22,16), cioè i soldati di Erode, che in quel momento si trovava a Gerusalemme. C'era una specie di ribellione in mezzo al popolo, come dice la Glossa, perché alcuni sostenevano che era un dovere pagare i tributi per la sicurezza e la tranquillità, in quanto i Romani combattevano per tutti. I farisei invece erano contrari e sostenevano che il popolo di Dio non era tenuto a pagarli, in quanto già pagavano le decime, ecc. , mentre pagando il tributo avrebbero riconosciuto di essere sottoposti a leggi umane.
    Opportunamente si fa notare che i discepoli dei farisei si uniscono agli erodiani, perché i discepoli della separazione (farisei), quando si allontanano dalla vera gloria, si uniscono alla gloria vana e transitoria. E su questo abbiamo la concordanza in Osea: «Efraim se ne volò via come un uccello; la loro gloria è scomparsa dai parti, dalle gravidanze e dai concepimenti» (Os 9,11).
    Oggi ci sono molti che, fino a quando sono implumi, finché cioè sono poveri e ignorati, se ne stanno quieti nel nido dell'umiltà, ma appena hanno messo penne e ali, vale a dire hanno accumulato ricchezze e potere, se ne volano in alto e diventano superbi; la loro gloria sta nelle loro ali, mentre invece dovrebbero pensare a quanto grande è stata la loro miseria nel concepimento, nell'allevamento e nell'educazione. Sempre Osea: «Il vento lo porterà legato alle sue ali» (Os 4,19). Le ali sono l'intelletto e il sentimento: l'intelletto vola nel campo della verità, e il sentimento (le inclinazioni) in quello del discernimento del bene, ma entrambi vengono impediti dal vento della vanagloria.
    «Maestro, sappiamo che sei veritiero» (Mt 22,16). Maestro, in lat. magister, è come dire «maggiore del luogo», perché sterròs in greco significa luogo, posto. Lo chiamano maestro perché, sentendosi lodato, apra loro schiettamente il segreto del suo cuore e voglia ritenerli come discepoli.
    «Sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità» (Mt 22,16). Dice il salmo: «Guidami nella tua verità e istruiscimi» (Sal 24,5): guidami a fuggire gli errori, affinché io viva nella rettitudine e nella pietà, come la verità esige, e insegnami la verità stessa.
    «E non hai soggezione di nessuno» (Mt 22,16): lo provocano a dire che teme più Dio che Cesare e che non si è obbligati a pagare il tributo, per farlo apparire come l'istigatore della ribellione. «Tu non guardi in faccia alle persone» (Mt 22,16). E Abacuc: «I tuoi occhi sono innocenti e non vedi il male e non puoi guardare l'iniquità» (Ab 1,13). Si dice persona, perché è unica in se stessa (lat. persona, per se una). «Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22,17).
    Risponderemo a questa domanda nei punti seguenti.
9. Con questa prima parte del vangelo concorda la prima parte dell'epistola: «Fratelli, siate miei imitatori». Anche se non mi avete presente, imitatemi e fate come me. «Osservate», cioè guardate con molta attenzione, «quelli che si comportano secondo il modello che avete in noi» (Fil 3,17), cioè l'esempio della nostra vita, di cui Pietro dice: «Facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,3). Felice quel prelato che con la forma (l'esempio) della sua vita è in grado di riformare i deformati, cioè di riportare sulla retta via chi ha deviato.
    «Molti infatti» - i farisei - si comportano da nemici della croce di Cristo. E della loro rovina spirituale l'Apostolo piangeva. «La loro fine sarà la perdizione», alla fine cioè ci sarà la pena eterna; «perché il loro dio è il ventre» (Fil 3,18-19).
    La sacra Scrittura parla spesso per immagini, per metafore, affinché ciò che non si può vedere in una cosa, si possa scoprire in un'altra simile. Il ventre viene paragonato a un dio quando dice: «Il loro dio è il ventre e la loro gloria è una vergogna», cioè si gloriano di ciò di cui dovrebbero invece vergognarsi. Agli dèi si suole edificare dei templi, erigere degli altari, consacrare dei ministri per il loro culto, immolare animali, bruciare incensi. Il tempio del dioventre è la cucina, l'altare la mensa, i ministri i cuochi, i sacrifici le carni rosolate, il fumo dell'incenso l'odore dei condimenti.
    Questi templi però non vengono costruiti in Gerusalemme, bensì in Babilonia, perché coloro che hanno come dio il ventre, vedranno la loro gloria mutarsi in eterna confusione. Quello stesso dio infatti, il principe dei cuochi, ha distrutto le mura di Gerusalemme, ha portato i vasi del Signore nella casa del re di Babilonia, dei vasi del tempio ha fatto i vasi del palazzo [reale], anzi, a dire il vero, dei vasi della mensa divina ha fatto i vasi da cucina.
    Dice l'Apostolo: «Santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,17). In questo tempio i vasi sono i cuori, che diventano vasi del tempio del Signore quando, ripieni di virtù, sono graditi alla volontà divina; diventano invece vasi del palazzo [reale], quando vogliono piacere a qualche umana autorità; e diventano vasi da cucina quando ciò che prima serviva alla sobrietà, serve poi alla gola.
    Dice Geremia: «Coloro che banchettavano con lo zafferano, ora brancicano lo sterco» (Lam 4,5). Lo zafferano, in lat. crocus, cresce in oriente e dà ai cibi colore e sapore. Quindi si nutrono con lo zafferano coloro che all'inizio della loro conversione si sostengono interiormente con il sapore delle virtù, e prendono all'esterno il colore del buon esempio. Ma questi che prima si nutrono con lo zafferano, quando, dopo le opere di mortificazione e di pietà, si lasciano vincere dal richiamo del ventre, giungono fino a brancicare lo sterco; e talvolta succede che quelli che prima della conversione vivevano sobriamente a casa loro, dopo, nel monastero, diventano ingordi.
    Il dioventre viene soddisfatto con le vittime di varie portate, tende l'orecchio ai rumori, è solleticato dalle varie specie di sapori, si commuove alle chiacchiere e non alle preghiere, è gratificato dall'ozio, e si abbandona alle delizie della sonnolenza. E questo dioventre ha, purtroppo, monaci, canonici e conversi che lo servono devotamente, e sono quelli che nella chiesa di Dio vivono beatamente nell'ozio, che non si danno alla preghiera segreta, ma sono curiosi di ascoltare gli stravaganti racconti degli oziosi, nei quali non si sentono i singhiozzi e i sospiri di una mente pentita, ma le risate, le sghignazzate e i rutti di un ventre rimpinzato. Sono questi che si ritirano e tengono consiglio: ma in quel consiglio non entra il mio cuore (cf. Gn 49,6).
    Scongiuriamo perciò, fratelli carissimi, il Signore Gesù Cristo di separarci dalla separazione dei farisei, di confermarci nell'insegnamento della sua verità, di tenerci lontani dal vizio della gola, in modo da essere degni di giungere al banchetto della vita eterna.
    Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto nei secoli. Amen.
10. «Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate?» (Mt 22,18). Conosce la loro malizia colui che conosce tutte le cose, al quale nulla è nascosto e nulla può sfuggire. Dice il profeta Amos: «Anche se scendessero fino all'inferno, di là li strapperebbe la mia mano; e se salissero fino al cielo, di là li tirerei giù; e anche se si nascondessero in vetta al Carmelo, io che scruto i cuori li troverò. E anche se volessero nascondersi ai miei occhi nel profondo del mare, là comanderò al serpente di morderli» (Am 9,2-3). Perché dunque mi tentate, ipocriti? Perché avete una cosa nel cuore e un'altra nella bocca? «Tutti gli ipocriti sono malvagi, e tutte le bocche proferiscono menzogne» (Is 9,17).
    «Disse loro: Mostratemi la moneta del tributo» (Mt 22,19), vale a dire la moneta con la quale pagate il tributo, che aveva impressa l'effigie di Cesare. «Ed essi gli presentarono un denaro», che valeva dieci soldi. «Gesù domandò loro: Di chi è questa effigie e l'iscrizione?». Gli risposero: Di Cesare» (Mt 22, 20-21). Fa' attenzione a queste tre cose: il denaro, l'effigie e l'iscrizione.
    Come nel denaro è impressa l'effigie del re, così nell'anima nostra è impressa l'immagine della Trinità. Dice il salmo: «È impressa su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7). E la Glossa commenta: O Signore, la luce del tuo volto, cioè la luce della grazia, con la quale viene reintegrata in noi la tua immagine, per la quale noi siamo simili a te, è impressa in noi, cioè è impressa nella ragione che è la potenza superiore dell'anima: è per essa che noi siamo simili a Dio; è in essa che è impressa quella luce, come un sigillo sulla cera.
    Per volto di Dio s'intende la nostra ragione, perché come attraverso il volto uno viene riconosciuto, così per mezzo dello specchio della ragione si conosce Dio. Però questa ragione è stata deformata dal peccato dell'uomo, e quindi l'uomo ha perduto la somiglianza con Dio: ma poi con la grazia portata da Cristo la somiglianza è stata ripristinata. Infatti l'Apostolo dice: «Rinnovatevi nello spirito nella vostra mente» (Ef 4,23). Questa grazia per la cui opera viene rinnovata l'immagine che era stata creata, qui è chiamata luce.
    Considera che l'immagine è triplice: l'immagine della creazione, nella quale l'uomo è stato creato, cioè la ragione; l'immagine della ricreazione (nuova creazione), con la quale viene ricostituita l'immagine creata, cioè la grazia di Dio che viene infusa nella mente da rinnovare; l'immagine della somiglianza, per la quale l'uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di tutta la Trinità: per la memoria è simile al Padre, per l'intelligenza al Figlio, per l'amore allo Spirito Santo. Dice infatti Agostino: «Che io ti ricordi, che io ti comprenda, che io ti ami». L'uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio: immagine per la conoscenza della verità, somiglianza per l'amore alla virtù. Quindi la luce del volto di Dio è la grazia della giustificazione, di cui viene insignita l'immagine creata. Questa luce è tutto e il vero bene dell'uomo, con il quale viene come contrassegnato, come il denaro lo è con l'effigie del re. E quindi il Signore, in questo vangelo, conclude: «Date a Cesare quello che è di Cesare, e date a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Come dicesse: Come date a Cesare la sua effigie, così date a Dio l'anima, illuminata e segnata con la luce del suo volto.
11. Su tutto questo abbiamo la concordanza nel profeta Zaccaria: «Guardavo, ed ecco un candelabro tutto d'oro; sulla sua sommità c'era una lampada con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne. E presso il candelabro due ulivi, uno a destra e uno a sinistra della lampada» (Zc 4,2-3). Vedremo quale sia il significato morale di questi cinque oggetti: del candelabro, della lampada, delle lucerne, dei beccucci e dei due ulivi.
    Il candelabro e il denaro, la lampada e l'immagine hanno lo steso significato. Il candelabro raffigura l'anima, che è detta tutta d'oro perché è fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Dice infatti l'Ecclesiastico: «Dio formò l'uomo dalla terra, e lo fece a sua immagine» (Eccli 17,1), affinché così sia in grado di vivere, di sentire, e abbia la memoria, l'intelletto e la volontà. Per questo gli ha detto: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore», ecc. , vale a dire con l'intelletto, con la volontà e la memoria.
    Come il Figlio è dal Padre, e da entrambi è lo Spirito Santo, così dall'intelletto è la volontà, e da entrambi la memoria: e senza queste tre facoltà l'anima non può essere completa, perfetta; e per quanto riguarda l'eterna felicità, uno solo di questi doni, senza gli altri, non è sufficiente. E come Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo non sono tre dèi ma sono un solo Dio in tre Persone, così anche l'anima intelletto, l'anima volontà e l'anima memoria non sono tre anime ma un'anima sola, che ha tre potenze, nelle quali presenta in modo meraviglioso l'immagine di Dio. E con queste tre facoltà, in quanto sono le facoltà superiori, ci è comandato di amare il Creatore, affinché ciò che si comprende e si ama, sia anche sempre nella memoria.
    E per Dio non basta l'intelletto, se all'amore verso di lui non partecipa anche la volontà; e neppure l'intelletto e la volontà sono sufficienti, se non vi si aggiunge la memoria, per mezzo della quale Dio è sempre presente in chi lo intende e lo ama. E poiché non c'è istante nel quale l'uomo non fruisca o non abbia bisogno della bontà di Dio, così Dio dev'essere sempre presente nella sua memoria. Inoltre, l'uomo è fatto a somiglianza di Dio perché, come Dio è amore, è buono, giusto, benigno, misericordioso, così l'uomo deve avere anche lui l'amore, essere buono, giusto, benigno, misericordioso, ecc.
    «Vidi - dunque - un candelabro tutto d'oro, e sulla sua sommità una lampada». La lampada raffigura l'infusione della grazia, con la quale l'anima viene illuminata. Del giusto, illuminato da questa lampada, Giobbe dice: «Viene derisa la semplicità del giusto. È una lampada disprezzata nella considerazione dei ricchi, ma preparata per il tempo stabilito» (Gb 12, 4-5). Commenta Gregorio: La semplicità del giusto è chiamata lampada, e disprezzata: lampada, perché fa luce interiormente nella coscienza; disprezzata, perché nella considerazione dei carnali è stimata senza alcun valore, e dai saccenti è ritenuta stoltezza. Ritengono come morti coloro che non intendono vivere secondo la carne, come loro. E il tempo stabilito per la lampada disprezzata è il giorno stabilito da Dio per l'ultimo giudizio: allora sarà manifesto di quanta gloria rifulgeranno tutti i giusti, che ora sono così disprezzati.
12. E su di esso sette lucerne e sette beccucci», per mezzo dei quali si alimentano di olio le lucerne. Considera che le sette lucerne raffigurano le sette beatitudini, e i sette beccucci raffigurano le sette parole pronunciate da Cristo sulla croce: ne vedremo la reciproca corrispondenza.
    Beati i poveri nello spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3). - Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
    Beati i miti perché possederanno la terra (Mt 5,4). - In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso (Lc 23,43).
    Beati quelli che piangono perché saranno consolati (Mt 5,5). - Donna, ecco il tuo figlio. Quindi disse al discepolo: Ecco tua madre (Gv 19, 26-27).
    Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati (Mt 5,6). - Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46).
    Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia (Mt 5,7). - Ho sete! (Gv 19,28).
    Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5,8). - Tutto è compiuto (Gv 19,30).
    Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). - Padre, nelle tue mani affido il mio spirito (Lc 23,46).
    Chi è ricco della povertà di spirito può realmente pregare per i suoi persecutori e dire con Gesù Cristo: «Padre, perdona loro». Chi è umile di spirito perdona a chi gli fa del male e prega per loro. L'opposto fa invece Edom, il peccatore superbo, del quale per bocca di Amos il Signore dice: «Per tre misfatti di Edom, e per quattro, non lo richiamerò più a me: perché ha inseguito con la spada il suo fratello, perché gli ha negato misericordia, perché ha covato il rancore contro di lui e perché ha conservato l'odio sino alla fine. Appiccherò il fuoco a Teman e divorerà il palazzi di Bozra» (Am 1,11-12).
    Il primo peccato consiste nel pensare il male, il secondo nel consentire, il terzo nel portarlo ad esecuzione e il quarto nel non pentirsene. Chi, dopo aver commesso i primi tre peccati, si pente, il Signore lo richiama dinanzi al suo volto misericordioso; se invece non si pente, il Signore distoglie da lui il suo sguardo di misericordia. Edom, come dice qui la Glossa, è lo stesso che dire Esaù e Seir: sono i tre nomi della stessa persona. Esaù perseguitò Giacobbe, lo spaventò e lo costrinse a fuggire in Mesopotamia e non ebbe nei suoi riguardi la minima pietà. E l'odio che era stato nel padre lo conservarono gli Idumei, nati da lui, contro i figli di Giacobbe, tanto che non permisero loro di passare per le proprie terre quando uscirono dall'Egitto per ritornare nella Terra Promessa: in questo violarono la legge della pietà, perché ignorarono che essi erano fratelli.
    Fanno tutto questo coloro che odiano i propri fratelli, che non sono poveri nello spirito; perciò il Signore farà scendere il fuoco della Geenna su Teman, che significa «austro», meridione, cioè su coloro che nel tempo della prosperità mondana vivono da dissoluti; «quel fuoco divorerà i palazzi di Bozra», che vuol dire «fortificata», cioè divorerà quelli che si difendono con ogni sorta di scuse, per restare nei loro peccati.
    Senso morale. Edom s'interpreta «sanguinario» e raffigura la nostra carne che gode del sangue della gola e della lussuria; essa perseguita, con la spada della concupiscenza, il suo fratello Giacobbe, cioè il nostro spirito, e vuole così violare la misericordia, che per comando di Dio gli è dovuta. Perciò Giacobbe, il nostro spirito, rivolge la sua supplica al Signore dicendo: «Scampami dalla mano del mio fratello Esaù, perché io ho grande paura di lui; fa' che egli non arrivi e colpisca madre e bambini» (Gn 32,11). Lo spirito ha paura della carne e prega di essere salvato dalla mano, dalla protervia della sua concupiscenza, la quale, se riesce a strappare il consenso, colpisce la madre insieme con i figli, cioè la ragione con tutti i suoi sentimenti, o anche l'anima stessa con tutte le sue opere buone.
13. Chi è mite, chi non scaglia offese né si offende se le riceve, chi non scandalizza e non resta scandalizzato, sarà degno di sentire, insieme con il buon ladrone, che anzi fu confessore: «Oggi sarai con me nel paradiso», che è appunto la terra dei viventi, che i miti possederanno. Questa terra non la potranno possedere gli avari i quali, come bestie feroci, si logorano la mente nell'accumulare, e scandalizzano gli altri con le loro rapine. Perciò non sentiranno mai il tenue spirare di una brezza leggera: «Oggi sarai con me nel paradiso», ma dovranno ascoltare il tuono della divina condanna: «Andate, maledetti, al fuoco eterno!» (Mt 25,41).
    Ecco che cosa sta scritto di costoro nel libro di Zaccaria. «L'angelo mi disse: Alza i tuoi occhi e osserva ciò che sta per apparire. E io: Che cosa è quella? Rispose: Quella che appare è un'anfora. Poi soggiunse: L'anfora raffigura ciò che essi vedono in tutta la terra. Fu quindi portato un talento [un grande peso] di piombo; ed ecco che dentro all'anfora vi era una donna. E l'angelo disse: Questa è l'empietà. Quindi la ricacciò nell'anfora e pose sulla bocca dell'anfora la massa di piombo. Io alzai i miei occhi e osservai: ed ecco che arrivarono due donne, e il vento agitava le loro ali, poiché avevano ali come quelle del nibbio, e sollevarono l'anfora tra la terra e il cielo. E io domandai all'angelo che parlava con me: Dove portano l'anfora? Mi rispose: Nella terra di Sennaar, per costruirle una casa» (Zc 5,5-11).
    L'anfora raffigura l'avarizia, la cui bocca non si chiude, ma resta sempre aperta nella brama delle cose temporali. E questo è ciò che si vede su tutta la terra, perché tutti sanno e tutti conoscono l'avarizia, e l'hanno sotto gli occhi. Socia dell'avarizia è la massa di piombo, ossia la dannazione eterna, che è come una grossa palla in bocca che non si può né inghiottire né rigettare.
    Le due donne sono la rapina e il furto. La rapina riguarda le persone altolocate, il furto quelle più modeste. È detto che hanno ali di nibbio, che è un uccello rapace. Il nibbio è chiamato in lat. milvus, come dire mollis avis, cioè uccello soffice, morbido: questo per il suo volo e anche per la sua forza limitata; però è un uccello voracissimo che attacca gli uccelli domestici, e perciò raffigura i predatori altolocati.
    Quest'anfora viene sollevata tra cielo e terra, perché l'avaro si sceglie il posto non nel cielo con gli angeli, né in terra con gli uomini, ma nell'aria (impiccato) con Giuda, il traditore, e con i demoni (le potenze dell'aria). E le due donne non lasciano andare l'avaro finché non l'avranno portato nella terra di Sennaar, cioè nel luogo del fetore, vale a dire nell'inferno. Sennaar infatti s'interpreta «fetore».
14. Chi piange per i propri peccati o per quelli del prossimo, o per la miseria di questo esilio terreno, o per il ritardo di giungere al Regno dei cieli, viene consolato dal Signore, il quale consolò la Madre sua, che piangeva per la sua passione, dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». E il profeta Naum dice in proposito: «Buono è il Signore: egli consola nel giorno della tribolazione e non dimentica coloro che confidano in lui» (Na 1,7). E il profeta Zaccaria: «Io sarò per lui come un muro di fuoco all'intorno, e sarò una gloria in mezzo ad esso» (Zc 2,5). Si legge nel libro dell'Esodo: «La rugiada si posò tutt'intorno all'accampamento» (Es 16,13).
    Cristo in difesa dei suoi è come un muro di fuoco che distrugge i nemici, e in mezzo a loro un trionfo che li rincuora.
15. Chi ha fame e sete di giustizia dà a ciascuno il suo, cioè a Dio e al prossimo l'amore, e a se stesso la penitenza per i peccati commessi. Questa triplice giustizia è indicata da quelle tre parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Due volte chiama «Dio», proprio per ricordare il duplice precetto della carità; e «mi hai abbandonato» per ricordare la pena corporale. E la Glossa commenta: «Perché mi hai abbandonato?», cioè: Perché mi hai esposto a sì grande sofferenza?, dice il Figlio al Padre.
    E di queste tre parole dice Abacuc: «Il giusto vive per la sua fede» (Gal 3,11; cf. Ab 2,4). È detto giusto perché rispetta i diritti. «Giusto», si riferisce a se stesso, «per la fede» si riferisce a Dio, «vive» si riferisce al prossimo. Chi è giusto osserva i diritti verso di sé giudicandosi e condannandosi, vive per la fede in Dio, nell'amore del prossimo. «Chi invece non ama - dice Giovanni - rimane nella morte» (1Gv 3,14).
16. Chi è misericordioso verso gli altri, Dio è misericordioso verso di lui. I giudei, senza misericordia, non fecero questo: essi a Cristo appeso in croce, arso dalla sete, non offrirono un bicchiere di acqua fresca, ma aceto mescolato a fiele; e Cristo, assaggiatolo, non volle bere (cf. Mt 27,34), perché assaporò sì l'amarezza, cioè la pena delle nostre colpe, ma non volle assimilare a sé i nostri peccati. La stessa cosa fanno oggi con Cristo i falsi cristiani, peggio ancora dei giudei; e quindi nel tempo della tribolazione non troveranno misericordia.
    Tieni presente che nell'aceto si devono considerare tre momenti: dapprima è vino non ancora maturo; poi diventa vino perfetto, e infine guastandosi diventa aceto. La stessa cosa avviene nel falso cristiano: prima del battesimo è uva selvatica e aspra, perché è ancora infedele; tutti - dice l'Apostolo - nasciamo figli dell'ira (cf. Ef 2,3). Ricevuto il battesimo diventa come un vino profumato, e questo per opera della fede; ma poi si trasforma in aceto per causa del peccato mortale.
    Si dice aceto in quanto è acuto, pungente, o anche annacquato. Infatti il vino mescolato con l'acqua prende presto il gusto di aceto, e si dice «acido», come a dire aquidus, acquoso. Quando un fedele cristiano si mescola all'acqua del piacere carnale, subito si trasforma nell'aceto del peccato mortale, che per quanto sta in lui offre a Cristo, non dico appeso alla croce, ma che già regna nel cielo. Ecco dunque che Cristo si lamenta dolorosamente con le parole di Isaia: «Aspettai che la mia vigna producesse uva, ma essa fece uve selvatiche» (Is 5,4). E per chiarire il suo pensiero, sempre Isaia aggiunge: «Aspettavo che operasse la giustizia, ed essa operò l'iniquità; aspettavo rettitudine ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7).
    L'uva selvatica è chiamata in lat. labrusca (it. lambrusca, abròstine), perché sporge sulle labbra, sui margini delle strade. Le opere del peccatore, cioè l'iniquità, l'avarizia, la lussuria, sono come uve selvatiche che pendono lungo la strada e che vengono strappate e portate via dai passanti. Dice Ezechiele: «Ad ogni crocicchio di strada hai innalzato il segnale della tua prostituzione, hai deturpato la tua bellezza e ti sei offerta ad ogni viandante» (Ez 16,25).
17. Chi vuole conservare la purezza del cuore per poter vedere Dio, è necessario che ponga fine ad ogni peccato, per dire con Gesù: «Tutto è compiuto», tutto è finito. Ma le malvagità degli Amorrei non sono ancora finite e perciò, come dice Isaia, sarà il Signore, Dio degli eserciti, che abbrevierà e decreterà la fine delle malvagità su tutta la terra» (Is 10,23). Ed Ezechiele: «Questo dice il Signore Dio: La fine viene, viene la fine sulle quattro parti della terra. Adesso è la fine per te, scaglio contro di te la mia ira e ti giudicherò per le tue opere» (Ez 7,2-3).
18. Chi ha la pace del cuore merita veramente di essere chiamato figlio di Dio Padre, al quale, insieme con il suo Unigenito, dice nell'ora della sua morte: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito!, perché dalla pace del cuore passa alla pace dell'eternità. Il Padre stesso, per bocca di Isaia, promette: «Nella gioia uscirete» dal corpo, «e nella pace sarete condotti; monti e colli», cioè grandi e piccoli; e le potenze angeliche «vi canteranno inni di lode; e anche tutti gli alberi della regione», vale a dire tutte le anime dei santi, che già fruiscono della felicità del cielo, «vi applaudiranno», esultando per il vostro arrivo (Is 55,12).
    Queste sono le sette lucerne e i sette beccucci, con i quali s'illumina il candelabro, e il denaro (la moneta), cioè l'anima, viene contrassegnata con l'effigie del Re.
19. «E vicino al candelabro due ulivi, uno a destra della lampada e l'altro alla sua sinistra». La lampada raffigura l'illuminazione della grazia. I due ulivi sono la speranza e il timore, che custodiscono la grazia che è stata infusa; la speranza del perdono è alla destra, il timore del castigo alla sinistra. Dice Michea in proposito: «Ti indicherò, o uomo, che cosa sia bene e che cosa il Signore richieda da te: praticare la giustizia», dalla quale viene il timore, «amare la misericordia», cioè le opere di misericordia, dalle quali nasce la speranza, «e camminare umilmente con il tuo Dio» (Mic 6,8). E la Glossa: In tutto questo non cercare altra ricompensa se non di piacere a Dio e con lui camminare, come Enoc, e allora anche tu, come Enoc, sarai da lui trasportato via (cf. Eb 11,5). Dove ci sono timore e speranza, lì c'è un vita impegnata in Dio.
    E considera ancora che l'olio galleggia su tutti i liquidi, e per questo simboleggia la speranza, che ha per oggetto le cose eterne, le quali sono al di sopra di ogni bene transitorio. Infatti si chiama speranza, in lat. spes, perché è il piede, in lat. pes, per camminare verso il Signore. Speranza è attesa dei beni futuri, ed essa esprime il sentimento dell'umiltà e un'attenta dedizione di sudditanza.
    L'olio inoltre condisce i cibi, e anche noi dobbiamo condire con il timore di Dio tutto ciò che facciamo. Dice il salmo: «Servite il Signore nel timore» (Sal 2,11), e chi è in piedi stia attento a non cadere (cf. 1Cor 10,12). Affinché la sudditanza non sembri servile, aggiunge: «ed esultate». Ma perché questa esultanza non sconfini nella temerarietà, aggiunge ancora: «con tremore» (Sal 2,11). Ecco che adesso è chiaro per tutti che cosa significhino e come concordino il denaro contrassegnato dall'effigie e il candelabro illuminato con la lampada.
    Diciamo dunque anche noi: «Di chi è questa effigie e l'iscrizione?». L'iscrizione sulla moneta è il nome di Cristo, che per il cristiano è al di sopra di ogni altro nome (cf. Fil 2,9). Infatti noi prendiamo il nome da Cristo e da nessun altro. Cristo stesso dice nel salmo: «Nel tuo libro tutti saranno scritti; giorni si formeranno e nessuno in essi» (Sal 138,16).
    Spiega la Glossa:: «O Padre, nel tuo libro», cioè in me che sono il libro della vita, «saranno scritti tutti» i miei fedeli, saranno cioè formati e chiamati per nome. «I giorni», cioè i più grandi, come gli apostoli - dei quali è detto: «Il giorno al giorno affida la parola» (Sal 18,3) - saranno formati» in me, da cui prendono la perfezione della grazia, «e nessuno» dei miei sarà formato «in essi» [negli apostoli], perché i cristiani non possono dire di essere di Pietro, o di Paolo, ma solo di Cristo (cf. 1Cor 1,12), dal quale prendono il nome di cristiani.
20. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell'epistola: «La nostra patria è nel cielo» (Fil 3,20). Affinché la nostra patria sia nel cielo, dobbiamo pregare il Signore che faccia con noi, ciò che egli ha fatto con Giosuè, figlio di Josedech, come si legge in Zaccaria: «Toglietegli quelle vesti immonde. Poi disse a Giosuè: Ecco, io ti ho tolto di dosso l'iniquità e ti ho fatto indossare le vesti di ricambio. E continuò: Mettetegli sul capo un diadema mondo. E gli misero sul capo un diadema mondo e lo rivestirono di vesti candide» (Zc 3,4-5).
    Le vesti immonde raffigurano la vita mondana, che insudicia l'anima e la coscienza. Dice l'Apocalisse: «L'impuro continui ad essere impuro» (Ap 22,11). E Geremia: «Nei suoi piedi c'è la sporcizia» (Lam 1,9), cioè la vita disordinata dura fino alla fine della vita. E Gioele: «I giumenti marciscono nel loro sterco» (Gl 1,17).
    «Ecco, io ti ho tolto la tua iniquità». Queste sono le vesti immonde. Prima il Signore toglie di dosso il sudiciume del precedente genere di vita e poi fa indossare le vesti di ricambio, cioè le virtù, i costumi onesti, nei quali appunto consiste la forma di vita che porta al cielo.
    «Mettetegli sul capo un diadema mondo». Il diadema è la mitria, che ha due corni, nei quali è simboleggiata la conoscenza dei due Testamenti o anche la pratica dei due comandamenti della carità. Quindi la mitria sul capo raffigura la scienza e la duplice carità nella mente. Le vesti candide sono le opere di purezza nella carne. Dice infatti il Signore nell'Apocalisse: «Cammineranno con me avvolti in candide vesti, perché ne sono degni» (Ap 3,4), in quanto la loro patria è il cielo.
    «Di lassù aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, che trasfigurerà il nostro misero corpo, per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,20-21). Ecco in che modo la moneta sarà contrassegnata con l'effigie del nostro Re. Chi vive nel mondo, ma non secondo la vita del mondo, ma secondo quella del cielo, può attendere con sicurezza il Salvatore.
    E il profeta Amos, per contrasto, dice: «Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Quel giorno sarà tenebre e non luce» (Am 5,18), cioè tribolazione e non prosperità. In quel giorno vedranno che le loro opere, che adesso sembrano loro luminose, sono invece tenebrose. Molti superbi, come commenta la Glossa, per sembrare giusti, dicono di aspettare anche loro il giorno del giudizio, o il giorno della morte, per incominciare ad essere con Cristo. Ma a costoro il profeta rivolge le sue minacce, perché nessuno è senza peccato, e proprio per il fatto di non temere per se stessi, sono degni dell'eterno supplizio.
    Aspettano dunque il Signore Gesù con sicurezza e tranquillità, solo coloro che conducono quaggiù una vita degna del cielo.
21. Ecco perché la santa chiesa, nell'introito della messa di oggi, invita a innalzare il canto di lode a Gesù Cristo, dicendo: «Applaudite, popoli tutti, acclamate a Dio con voci di esultanza» (Sal 46,2). O genti tutte, convertite alla fede e alla penitenza, che conducete una vita degna del cielo, rallegratevi nell'operare il bene! Come dicesse: Siano concordi le mani e la lingua; le mani operino la fede e la lingua la professi. Si legge nel Levitico che alla tortora offerta in sacrificio il capo doveva essere ripiegato verso le ali (cf. Lv 5,8), e questo simboleggia appunto la coerenza tra parole e opere.
    E qual è il motivo per il quale si deve applaudire e giubilare? Questo: il Signore trasformerà il nostro corpo misero e vile, perché diventi come la moneta con sopra impressa l'effigie del re, rendendolo cioè conforme al suo corpo di gloria, perché saremo simili a lui (cf. 1Gv 3,2), e lo vedremo faccia a faccia (cf. 1Cor 13,12), così come egli è, e il suo glorioso splendore si rispecchierà nel nostro volto.
    Su dunque, carissimi fratelli, supplichiamo e imploriamo il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, perché voglia trasformare e illuminare il denaro e il candelabro, cioè la nostra anima, con la sua effigie e con la sua luce, affinché, trasformati nell'anima e nel corpo, meritiamo di essere resi conformi alla sua luce nella gloria della risurrezione.
    Si degni di concederci tutto questo colui che è Dio benedetto, glorioso ed eccelso nei secoli eterni.
    E ogni anima, contrassegnata della sua effigie, canti: Amen. Alleluia!