Sermoni Domenicali

DOMENICA DI SESSAGESIMA

1. «Il seminatore uscì a seminare la sua semente» (Lc 8,5). Dice Isaia ai predicatori: «Beati voi che seminate sopra le acque (Is 32,20). Le acque, come dice Giovanni nell'Apocalisse, sono i popoli (cf. Ap 17,15), dei quali Salomone scrive: Tutti i fiumi escono dal mare... e al mare ritornano (cf. Eccle 1,7).
    Osserva che c'è una duplice amarezza: quella del peccato originale e quella della morte corporale. Tutti i fiumi quindi, cioè tutti i popoli, escono dal mare, cioè dall'amarezza del peccato originale - per cui dice David: «Ecco, io sono stato concepito nei peccati» (Sal 50,7) ecc. e l'Apostolo: Tutti siamo nati figli dell'ira (cf. Ef 2,3) - e ritornano nel mare, cioè all'amarezza della morte corporale. Dice infatti l'Ecclesiastico: Quale giogo pesante è posto sopra i figli di Adamo, dal giorno in cui escono dal seno della madre! (cf. Eccli 40,1). E ancora: «O morte, quanto è amaro il tuo pensiero!» (Eccli 41,1). Riferendosi a questi due fatti, il Signore dice al peccatore: Sei terra, per l'impurità della concezione, e alla terra andrai con la distruzione del tuo corpo (cf. Gn 3,19). «Beati voi, dunque, che seminate sopra le acque».
    «La semente», come dice Dio stesso nel vangelo di oggi, «è la parola di Dio» (Lc 8,11). Quindi, per meritare di essere benedetto tra i beati, io seminerò sopra di voi nel nome di Gesù Cristo, che uscì dal seno del Padre e venne nel mondo a seminare la sua semente, perché uno solo e lo stesso è il Dio del Nuovo e dell'Antico Testamento, Gesù Cristo, Figlio di Dio. Dice infatti Isaia: «Io stesso che parlavo, ecco che sono presente» (Is 52,6). Io che parlavo ai padri per bocca dei profeti, ora sono presente con la realtà dell'incarnazione. Perciò, ad onore dell'unico Dio e ad utilità degli ascoltatori, concorderemo tra loro i due Testamenti, secondo quanto Dio stesso mi concederà. Diciamo dunque: «Il seminatore uscì a seminare la sua semente».

2. In questa domenica si legge nella chiesa il vangelo del seminatore e della semente; si proclama e si canta la storia di Noè e della costruzione della sua arca; e nell'introito della messa si canta: «Álzati, perché dormi, Signore?» E si legge l'epistola del beato Paolo ai Corinzi: «Voi sopportate volentieri gli stolti», ecc. Quindi nel nome del Signore, concordiamo insieme tutti questi brani.
    Nel racconto evangelico di oggi si devono tener presenti sei cose molto importanti: il seminatore e la semente, la strada, la pietra, le spine e la buona terra. E nel racconto biblico ci sono altre sei cose: Noè e l'arca; questa aveva cinque scomparti: il primo per la raccolta dei rifiuti, il secondo destinato ai viveri, il terzo per gli animali feroci, il quarto per gli animali domestici, il quinto destinato alle persone e agli uccelli. Però fa' bene attenzione che in questa concordanza, il quarto e il quinto scomparto saranno considerati come uno solo.

3. Il seminatore è Cristo, oppure anche il suo predicatore; la semente è la parola di Dio; la strada raffigura i lussuriosi; la pietra i falsi religiosi; le spine gli avari e gli usurai; la buona terra i penitenti e i giusti. E che tutto questo corrisponda a verità, lo proveremo con le citazioni della Scrittura.
    Il seminatore è Cristo. Trovi scritto nella Genesi: «Isacco seminò nella terra di Gerar e in quello stesso anno raccolse il centuplo» (Gn 26,12). Isacco s'interpreta «gaudio», ed è figura di Cristo che è il gaudio dei santi, i quali, come dice Isaia, «avranno gaudio e letizia» (Is 35,10): gaudio dall'umanità glorificata di Cristo, letizia dalla visione di tutta la Trinità. Questo nostro Isacco seminò nella terra di Gerar, che s'interpreta «dimora», e raffigura questo mondo, del quale dice il Profeta: «Ahimè, giacché la mia dimora - cioè la mia peregrinazione - si è prolungata!» (Sal 119,5). Nella terra di Gerar dunque, cioè in questo mondo, Cristo ha seminato tre specie di semente: la santità della sua vita esemplare, la predicazione del regno dei cieli, il compimento dei miracoli.
    «E in quello stesso anno raccolse il centuplo». Rammenta che tutta la vita di Cristo è detta anno del perdono e della misericordia (cf. Is 61,1-2). Come infatti nell'anno ci sono quattro stagioni: l'inverno, la primavera, l'estate e l'autunno, così nella vita di Cristo ci fu l'inverno della persecuzione di Erode, per la quale fuggì in Egitto; ci fu la primavera della predicazione, e allora «apparvero i fiori» (Ct 2,12), cioè le promesse della vita eterna, «e nella nostra terra si udì la voce della tortora» (Ct 2,12) cioè del Figlio di Dio: «Fate penitenza, il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Ci fu l'estate della passione, della quale dice Isaia: «Col suo spirito di rigore ha preso le sue decisioni per il giorno dell'ardore» (Is 27,8). Cristo per il giorno dell'ardore, cioè della sua passione, con il suo spirito di rigore, cioè inflessibile nel sostenere la passione, ha meditato, mentre pendeva dalla croce, come potesse sbaragliare il demonio, strappare dal suo potere il genere umano, e ai peccatori ostinati infliggere la pena eterna. Per questo diceva ancora il profeta: «Ho stabilito nel mio cuore il giorno della vendetta» (Is 63,4). C'è infine l'autunno della sua risurrezione, per la quale, soffiate via le paglie della sofferenza e la polvere della mortalità, la sua umanità, unita al Verbo, gloriosa e immortale, fu riposta nelle stanze del re (cf. Ct 1,3), cioè alla destra di Dio Padre.
    Giustamente quindi è detto: «In quello stesso anno raccolse il centuplo», cioè elesse gli apostoli, ai quali promise: Riceverete il centuplo (cf. Mt 19,29), ecc. Oppure, il centuplo raffigura la centesima pecora, vale a dire il genere umano, che con gioia portò nell'assemblea dei nove cori degli angeli, con le sue braccia inchiodate alla croce.
    Adesso dunque sai con certezza che il seminatore è Cristo.

4. Cristo è anche il Noè, al quale il Padre disse: «Fatti un'arca di legnami piallati; nell'arca farai dei piccoli locali; la spalmerai di bitume di dentro e di fuori. E la farai in questo modo: la lunghezza dell'arca sarà di trecento cubiti, la sua larghezza sarà di cinquanta cubiti e la sua altezza di trenta cubiti» (Gn 6,14-15).
    Noè s'interpreta «riposo», e raffigura Gesù Cristo che dice nel vangelo: «Venite a me voi tutti che siete affaticati» in Egitto, nel fango della lussuria e nel mattone dell'avarizia, «e siete oppressi» sotto il giogo della superbia, «e io vi farò riposare» (Mt 11,28). «Egli - come è detto nella Genesi - ci ha consolato dei lavori e delle fatiche delle nostre mani, nella terra alla quale Dio ha dato la maledizione» (Gn 5,29).
    A lui disse il Padre: «Fatti un'arca». L'arca è la chiesa. Uscì dunque Cristo a seminare la sua semente; uscì anche a costruire la sua chiesa, «di legni piallati», cioè di santi, puri e perfetti, e la spalmò con il bitume della misericordia e della carità, al di dentro, negli affetti, e al di fuori, col compimento delle opere. La sua lunghezza è di trecento cubiti, a motivo dei «tre ordini» in essa esistenti, raffigurati in Noè, Daniele e Giobbe, e che sono i prelati, i casti e i coniugati. La larghezza di cinquanta cubiti si riferisce ai penitenti della stessa chiesa. Infatti nel cinquantesimo giorno dalla Pasqua, agli apostoli è stata infusa la grazia per mezzo dello Spirito Santo; e nel salmo 50, il «Miserere mei, Deus», ai penitenti è promessa la remissione dei peccati. L'altezza di trenta cubiti si riferisce ancora ai fedeli della stessa chiesa, per la loro fede nella Santa Trinità. Uscì dunque Cristo dal seno del Padre e venne nel mondo per seminare, e per costruire la sua chiesa, nella quale fosse conservata una semente non corruttibile, ma destinata a durare nei secoli dei secoli.

5. Continua il discorso sulla semente. «La semente è la parola di Dio» (Lc 8,11), della quale dice Salomone nell'Ecclesiaste: «Spargi di buon mattino la tua semente» (Eccle 11,6). Di buon mattino, cioè nel tempo della grazia che scaccia le tenebre del peccato, spargi, o predicatore, la semente della parola, la tua semente, cioè quella a te affidata. E vedi quanto giustamente la parola di Dio sia chiamata semente. Come infatti la semente, seminata nella terra, germoglia e cresce, e dapprima - come dice il Signore in Marco - produce quasi «un filo d'erba, poi la spiga, e quindi nella spiga il chicco pieno» (Mc 4,28), così la parola di Dio, seminata nel cuore del peccatore, produce dapprima l'erba della contrizione, della quale è detto nella Genesi: «La terra, cioè la mente del peccatore, germogli l'erba verdeggiante» (Gn 1,11), la contrizione; poi la spiga della confessione, che si spinge verso l'alto per la speranza della remissione; e infine il chicco pieno della soddisfazione (cioè dell'opera penitenziale) della quale dice il Profeta: «Le valli», cioè gli umili penitenti, «abbonderanno del frumento» della piena soddisfazione (Sal 64,14), affinché la penitenza sia proporzionata alla colpa. Giustamente quindi è detto: «Uscì il seminatore a seminare la sua semente».

6. Ma poiché non tutti hanno la fede e «non tutti obbediscono al Vangelo» (Rm 10,16), per questo continua: «E mentre seminava, parte della semente cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono» (Lc 8,5). Il primo scomparto dell'arca di Noè era destinato alla raccolta dei rifiuti. Quindi la strada calpestata e lo scomparto dei rifiuti raffigurano i lussuriosi. Dice infatti Salomone nell'Ecclesiastico: «La donna impudica è come il sudiciume della strada» (Eccli 9,10); e Isaia inveisce contro il lussurioso: «Hai fatto del tuo corpo come terra, come strada per i passanti» (Is 51,23), cioè per i demoni che, mentre passano, calpestano la semente perché non germogli (cf. Lc 8,12). E ancora dice Isaia: «Con i piedi sarà calpestata la corona di superbia degli ubriachi di Efraim» (Is 28,3). Efraim s'interpreta «che porta frutto», e indica l'abbondanza delle cose temporali: gli ubriachi sono i lussuriosi, resi tali dal calice d'oro di Babilonia, cioè dell'abbondanza materiale; la corona di superbia sulla testa raffigura il pensiero altezzoso nella mente corrotta. Questa è calpestata dai piedi dei demoni quando da pensiero di mente corrotta arriva all'ebbrezza della lussuria; e così nella terra maledetta la semente del Signore non può più germogliare.
    Gli stessi demoni sono detti anche «uccelli», a motivo della superbia, «del cielo», cioè dell'aria nella quale abitano: essi rapiscono la semente dal cuore del lussurioso e la divorano, perché non fruttifichi. Dice Osea: «Gli stranieri», cioè i demoni, «divorarono la sua forza» (Os 7,9), cioè la forza della parola divina. E osserva che non dice «sulla strada», ma che «lungo la strada» è caduta la semente, perché il lussurioso non accoglie la parola dentro l'orecchio del cuore, ma solo come un suono che sfiora superficialmente l'orecchio del corpo.
    I lussuriosi sono «lo scomparto dei rifiuti», «che marcirono come giumenti sul loro letame» (Gl 1,17); di essi dice il salmo: «Essi perirono in Endor», che s'interpreta «fuoco della generazione», «diventarono», nell'ardore della lussuria, «come lo sterco della terra» (Sal 82,11). E nota che da questo sterco della terra vengono generati quattro vermi, che sono la fornicazione, l'adulterio, l'incesto e il peccato contro natura.
    La fornicazione, cioè il rapporto tra due persone non sposate, è peccato mortale; ed è detta fornicazione, cioè uccisione della forma (formae necatio), vale a dire morte dell'anima che è formata a somiglianza di Dio. L'adulterio è così chiamato perché è come l'ingresso al talamo altrui (ad alterius torum). L'incesto è l'abuso dei consanguinei o degli affini (parenti per matrimonio). Il peccato contro natura si commette effondendo il seme in qualsiasi modo, fuorché nell'organo della concezione, vale a dire nell'organo della donna. Tutti coloro che si macchiano di questi peccati sono strada calpestata dai demoni e scomparto di rifiuti. E perciò la semente della parola di Dio in essi va perduta, e ciò che è stato seminato viene rapito dal diavolo.

7. «Parte della semente cadde sulla pietra, e nata che fu, seccò, perché non aveva umidità» (Lc 8,6). E il secondo scomparto dell'arca di Noè fu la dispensa, il deposito dei viveri. La pietra e la dispensa raffigurano i falsi religiosi: pietra, perché si gloriano della sublimità della loro religione; dispensa, perché vendono le opere della loro vita per il denaro della lode umana.
    Si dica dunque: Una parte cadde sulla pietra, della quale parla il profeta Abdia, inveendo contro il religioso superbo: «La superbia del tuo cuore ti ha innalzato, tu che abiti nelle fenditure della pietra» (Abd 1,3). La superbia è detta così da super e eo (vado sopra), perché va, per così dire, al di sopra di sé. O religioso, la superbia del tuo cuore ti ha sollevato, ti ha portato fuori di te perché tu vanamente ti innalzassi al di sopra di te, che abiti nelle fenditure della pietra. La pietra è qualsiasi religione (ordine religioso) della chiesa, della quale dice Geremia: Mai mancherà la neve dalla pietra del campo (cf. Ger 18,14). Il campo è la chiesa; la pietra è la religione fondata sulla pietra della fede; la neve è la purezza della mente e del corpo, che mai deve venir meno nella religione. Ma, ahimè, ahimè, quante fenditure, quanti scismi, quante divisioni e dissensi vi sono nella pietra, cioè negli ordini religiosi. E se la semente della divina parola cadrà su di essi, non fruttificherà, perché non ha l'umidità, l'umore della grazia dello Spirito Santo, che non abita nelle fenditure della discordia ma nella casa dell'unità.
    Dice Luca: «Erano un'anima sola e un cuore solo» (At 4,32). In realtà negli ordini ci sono le divisioni, perché c'è la lite nel capitolo, la rilassatezza nel coro, la mormorazione nel chiostro, l'ingordigia in refettorio, l'impudenza della carne in dormitorio. Giustamente dunque dice il Signore: Parte della semente cadde sulla pietra e, nata che fu, seccò perché, come dice Matteo, «non aveva radice» (Mt 13,6), cioè non aveva l'umiltà, che è la radice di tutte le virtù. Ecco, adesso vedi chiaramente che dalla superbia del cuore provengono le divisioni negli ordini religiosi, e quindi non possono portare frutto, perché non hanno in sé la radice dell'umiltà.
    Siffatto ordine è raffigurato dallo scomparto viveri (dell'arca). Infatti i religiosi, quando sono in discordia all'interno, cercano le lodi all'esterno. I falsi religiosi, come dei magazzinieri, vendono dei prodotti sofisticati nella piazza pubblica: sotto l'abito dell'ordine e all'ombra di un nome falso, bramano essere lodati; davanti alla gente indossano una certa personale apparenza di perfezione, vogliono sembrare santi ma non vogliono esserlo. Ah, purtroppo! La religione che dovrebbe conservare ogni sorta di virtù e il profumo dei buoni costumi, viene distrutta e diventa uno spaccio di piazza. Gioele se ne lamenta dicendo: «Sono distrutti i granai», cioè i chiostri di coloro che vivono sotto una regola; «le dispense», vale a dire le abbazie dei monaci, «sono vuote perché il grano è stato disperso» (Gl 1,17). Nel grano, che è bianco all'interno e bruno all'esterno, è indicata la carità, che custodisce la purezza verso se stessi e l'amore verso il prossimo. Questo grano è disperso perché è caduto sopra la pietra e, appena nato, si è seccato perché non aveva la radice dell'umiltà, né l'umore della grazia dei sette doni dello Spirito Santo. Quindi vedi che con la dispersione del grano, cioè della carità, viene distrutto il sacro deposito di tutta la religione.

8. «Una parte della semente cadde tra le spine che, germogliate insieme, la soffocarono» (Lc 8,7). Il terzo scomparto dell'arca di Noè era destinato agli animali feroci. Osserva quanta rispondenza ci sia tra le spine e gli animali feroci, che raffigurano gli avari e gli usurai. Sono spine, giacché l'avarizia cattura, punge e fa sanguinare; sono bestie feroci, perché l'usura rapisce e sbrana. Dica perciò il Signore: Una parte cadde tra le spine, che, come egli stesso spiega, sono le ricchezze (cf. Lc 8,14; Mt 13,22), che afferrano l'uomo e lo arrestano. E Pietro, per non essere preso e arrestato da esse, dice al Signore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27). Commenta il beato Bernardo: Hai fatto bene, Pietro! Infatti, se eri appesantito da un carico, non potevi seguire colui che corre.
    Le spine poi pungono. Dice Geremia: «Giovenca elegante e formosa è l'Egitto, ma le verrà da settentrione chi le farà sentire il pungolo» (Ger 46,20). Egitto, che s'interpreta «tenebre», è l'avaro, avvolto nelle tenebre dell'ignoranza. È detto «giovenca» per due motivi: per la licenziosità della carne e per l'instabilità della mente; è detto elegans, ricercato, per i figli e i parenti che gli si affollano intorno; è detto formoso per la bellezza degli edifici e delle vesti che possiede. A questa giovenca arriva il pungolatore, cioè il diavolo, da settentrione, da dove, afferma Geremia, «si spanderà ogni male» (Ger 1,14) e la tormenterà con il pungolo dell'avarizia, perché corra e arranchi per ammassare spine, cioè ricchezze, delle quali Isaia dice che «una volta ammassate saranno distrutte dal fuoco» (Is 33,12).
    La spina dunque punge, e pungendo fa uscire sangue. Ogni anima (ogni essere vivente) è o vive nel suo sangue, dice Mosè (cf. Lv 17,14). Il sangue dell'anima è la virtù, della quale l'anima vive. L'avaro perciò distrugge la vita dell'anima, cioè la virtù, quando brama di accumulare ricchezze. Infatti dice l'Ecclesiastico: «Nulla c'è di più iniquo di colui che ama il denaro: costui nella sua vita getta via anche le sue viscere» (Eccli 10,10), cioè le virtù.
    E continua il Signore: «Crescendo insieme, le spine soffocarono la semente». Quindi dice Osea: «Làppole e rovi cresceranno sui loro altari» (Os 10,8). La làppola è un arbusto che si attacca ai vestiti; il rovo (lat. tribolus) è così chiamato perché quando punge produce tribolazione. Dunque làppole e rovi sono le ricchezze, che si attaccano all'uomo mentre passa e lo fanno tribolare. Essi crescono sopra il loro altare, cioè nel cuore degli avari, nel quale dovrebbe venir offerto a Dio un sacrificio, cioè «lo spirito contrito» (Sal 50,19), e invece soffocano la semente della parola di Dio e anche il sacrificio di un animo contrito.

9. Alle spine corrispondono le bestie feroci, con le quali, come abbiamo detto, intendiamo i perfidi usurai. Di essi dice il Profeta: «Ecco il mare grande e dalle braccia larghe e spaziose: lì ci sono rettili senza numero, animali piccoli e grandi. Lo solcano le navi» (Sal 103,25-26). Fa' attenzione alle parole: Il mare, cioè questo mondo, pieno di amarezze, è grande per le ricchezze, spazioso per i piaceri, perché spaziosa e larga è la via che conduce alla morte (cf. Mt 7,13). Ma per chi? Non certo per i poveri di Cristo, i quali entrano per la porta stretta (cf. Mt 7,13), ma per le mani degli usurai, i quali si sono ormai impadroniti di tutto il mondo. Per causa delle loro usure le chiese sono depauperate, i monasteri sono stati spogliati dei loro beni; e quindi si lamenta di loro il Signore con le parole di Gioele: «Avanza sopra la mia terra una gente forte e innumerevole: i suoi denti sono come i denti del leone, i suoi molari sono come i cuccioli del leone. Ha ridotto a deserto la mia vigna e ha scorticato le mie piante di fico, le ha denudate e spogliate e i loro rami sono diventati bianchi» (Gl 1,6-7).
    La gente maledetta degli usurai, forte e innumerevole, è cresciuta sulla terra, i suoi denti sono come i denti del leone. Osserva nel leone due cose: il collo inflessibile, nel quale c'è un solo osso, e il fetore dei denti. Così l'usuraio è duro, inflessibile, perché non si piega di fronte a Dio, e non teme l'uomo (cf. Lc 18,2); i suoi denti puzzano, perché nella sua bocca c'è sempre il letame del denaro e lo sterco dell'usura. I suoi molari sono come i cuccioli del leone, perché ruba, distrugge e ingoia i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove.
    L'usuraio riduce a un deserto la vigna, ossia la chiesa del Signore, quando con l'usura s'impossessa dei suoi beni; e scortica, denuda e spoglia la pianta di fico del Signore, cioè la casa di qualche congregazione, quando, sempre con l'usura, si appropria dei beni che ad essa i fedeli hanno elargito. Per questo i suoi rami sono diventati bianchi, vale a dire i monaci o i regolari di quella osservanza sono afflitti dalla fame e dalla sete. Ecco che sorta di elemosine fanno quelle mani: esse grondano del sangue dei poveri; di esse nel salmo è detto anche: «Lì», cioè nel mondo, «vi sono rettili senza numero», ecc. (Sal 103,25).
    Fa' attenzione qui alle tre specie di usurai. Ci sono alcuni che praticano l'usura privatamente: questi sono i rettili, che strisciano di nascosto, e sono senza numero. Ci sono altri che esercitano l'usura pubblicamente, ma non su larga scala, per sembrare misericordiosi: e questi sono gli animali piccoli. Altri ancora sono gli usurai scellerati, dannati e impudenti, che praticano l'usura davanti a tutti, quasi in piazza: e questi sono gli animali grandi, più crudeli degli altri, che saranno preda della caccia del demonio e subiranno sicuramente la rovina della morte eterna, a meno che non restituiscano il mal tolto e non facciano una congrua penitenza. E affinché possano fare una penitenza adeguata, «lì», cioè proprio in mezzo a loro, «le navi», vale a dire i predicatori della chiesa, devono passare e spargere la semente della parola di Dio. Ma, a motivo dei peccati, le spine delle ricchezze e le bestie feroci delle usure soffocano la parola così assiduamente seminata, e quindi non fanno frutto di penitenza.

10. «E una parte della semente cadde in buona terra e, nata, portò frutto» (Lc 8,8), «dove il trenta, dove il sessanta e dove il cento» (Mt 13,8). E il quarto scomparto nell'arca di Noè fu quello degli animali domestici, e il quinto quello delle persone e degli uccelli. Voi dunque vedete, carissimi, che nei tre scomparti sopraddetti, sulla strada dei lussuriosi, raffigurati dallo scomparto dei rifiuti, sulla pietra dei religiosi superbi, raffigurati dallo scomparto dei viveri, e tra le spine degli avari e degli usurai, raffigurati dallo scomparto degli animali feroci, la semente della parola di Dio non ha potuto portare frutto. Perciò i fedeli della chiesa santa, nell'introito della messa di oggi gridano al Signore: «Àlzati, perché dormi, Signore?» (Sal 43,23).
    Osserva che per ben tre volte gridano «Àlzati», ed è per queste tre cose: la strada, la pietra, le spine. Àlzati, dunque, Signore, contro il lussuriosi, che sono la strada del diavolo: essi, poiché dormono nei peccati, credono che anche tu sia addormentato. Àlzati contro i falsi religiosi, che sono come la pietra senza l'umore della grazia. Àlzati contro gli usurai, che sono come le spine pungenti, «e aiutaci e liberaci dalle loro mani» (Sal 43,26). In questi tre luoghi la semente della tua parola, o Signore, non ha potuto portare frutto; ma quando finalmente cadde in terra buona, il frutto lo produsse.

11. E osserva quanto bene si concordino tra loro la buona terra, gli animali domestici, gli uomini e gli uccelli, che stanno ad indicare i giusti e i penitenti, coloro che fanno vita attiva e i contemplativi. La buona terra, benedetta dal Signore, è la mente del giusto, della quale dice il salmo: «Tutta la terra ti adori e canti a te, canti un salmo al tuo nome» (Sal 65,4). E osserva che «tutta la terra» comprende oriente, occidente, settentrione e meridione. Pertanto lo spirito del giusto dev'essere terra orientale in considerazione della sua origine, occidentale nel ricordo della sua fine, settentrionale in considerazione delle tentazioni e delle miserie di questo mondo, meridionale per la prospettiva della beatitudine eterna. Quindi «tutta la terra», cioè lo spirito buono del giusto, «ti adori», o Dio, «in spirito e verità» (Gv 4,23) e nella contrizione del cuore: questo è il frutto al trenta per uno; «e canti a te», nella confessione del tuo nome e nell'accusa del suo peccato: e questo è il frutto al sessanta per uno: e per ottenere questi due risultati dobbiamo cantare a Dio nei sei giorni di una vita laboriosa; «e canti un salmo al tuo nome», nelle opere della soddisfazione (della penitenza) e nella perseveranza finale: e questo è il frutto al cento per uno, ed è quello perfetto.

12. C'è anche un'altra interpretazione. La buona terra è la santa chiesa, l'arca di Noè che accoglie in sé gli animali domestici, gli uomini e gli uccelli.
    «Gli animali domestici» raffigurano i fedeli sposati, che si applicano alle opere di penitenza, danno del loro ai poveri, non offendono né fanno danno a nessuno. Di questi dice l'Apostolo nell'epistola di oggi: «Volentieri sopportate gli stolti, essendo voi saggi. Infatti sopportate chi vi riduce in schiavitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia» (2Cor 11,19-20): questi fanno frutto al trenta per uno.
    «Gli uomini» raffigurano quelli che vivono in castità e fanno vita attiva: questi sono veri uomini, usano cioè la retta ragione. Essi si sottopongono alla fatica della vita attiva, si espongono al pericolo per il prossimo, predicano la vita eterna con la parola e con l'esempio, vigilano su se stessi e sui loro sottoposti. Questi, come afferma l'Apostolo, sono «nella fatica e nel travaglio, nelle veglie frequenti, nella fame e nella sete, nei prolungati digiuni, nel freddo e nella nudità» (2Cor 11,27): essi fanno frutto al sessanta per uno.
    «Gli uccelli», posti nella parte superiore dell'arca, raffigurano le vergini e i contemplativi che, quasi elevati al cielo sulle ali delle virtù, contemplano «il re nel suo splendore» (Is 33,17). Questi, non dico nel corpo ma nello spirito, vengono rapiti nella contemplazione fino al terzo cielo (cf. 2Cor 12,2), contemplando con l'acutezza dello spirito la gloria della Trinità, dove sentono con l'orecchio del cuore quelle cose che non si possono esprimere con parole (cf. 2Cor 12,4), e neppure comprendere con la mente: e questi sono coloro che portano frutto al cento per uno.
    Ti preghiamo, dunque, o Signore Gesù, di renderci terra buona, atta ad accogliere la semente della tua grazia e a produrre il «frutto degno di penitenza» (Mt 3,8), affinché meritiamo così di vivere eternamente nella tua gloria.
    Concedici questo tu stesso, che sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen.